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Type Design 3: il “Velasca” di Laura Dal Maso

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L’analisi delle forme esistenti e dei caratteri utilizzati ha ispirato il progetto della nuova font

Prima digitalizzazione del maiuscolo chiarissimo

Eccoci al sesto appuntamento settimanale con i lavori tipografici della terza edizione del “Corso di Alta Formazione in Type Design” presso il Poli.design di Milano.

Quella presentato oggi è un altra font ispirata da una architettura milanese: la Torre Velasca (della quale ho già presentato recentemente un altro elaborato).
Si tratta del «Velasca» di Laura Dal Maso prodotto in due variabili di peso molto contrastate fra di loro.

Nei prossimi appuntamenti del post del martedì vedremo, di settimana in settimana, gli altri lavori sempre abbinati alle quattro architetture milanesi: Torre Velasca, Stazione Centrale, Teatro alla Scala e Ca’ Brutta.

Da 50 anni simbolo della operosità e del rigore dell’anima milanese, la Torre Velasca si impone alla vista di chi la osserva per la verticalità accentuata dalle forme grandiose e arcigne dei suoi contrafforti.

Per lo studio della font «Velasca» abbiamo deciso di conoscere più da vicino questa architettura, così famosa, ma al tempo stesso poco conosciuta nei suoi particolari più nascosti, che ne caratterizzano gli interni conferendole un carattere diverso e variegato. Innanzitutto abbiamo scoperto che gli interni sono caratterizzati da linee spezzate che assumono una grande varietà di inclinazioni: ciò che per l’esterno sembra una predominanza del puro “verticale” all’interno si trasforma in un intrico di linee e piani che salgono verso l’alto attraverso inclinazioni più dolci.
Anche l’arredamento utilizzato e in particolar modo i suggestivi lampadari contribuiscono a conferire alla struttura una maggiore armonia e varietà di forme, le linee spezzate che la caratterizzano suggeriscono la curva senza mai rappresentarla se non negli stessi lampadari, cerchi perfetti.

Il carattere utilizzato per la segnaletica interna del palazzo è originale dell’epoca di costruzione ed è costituito da un bastone, molto razionalista, condensato e arrotondato, che rispecchia lo stile di un normografo.

Il progetto della font «Velasca» parte quindi dall’analisi sia dell’architettura esterna e più conosciuta sia delle linee spezzate degli ambienti interni: è un bastone caratterizzato da aste molto decise ed essenziali contrapposte a una grande varietà di angoli diversi raccordati tra loro a suggerire la curva.
Anche per quanto riguarda lo studio dei pesi di «Velasca» è stata fondamentale l’attenta analisi della struttura, questa volta soffermando l’attenzione sulle facce esterne dell’edificio.
La torre è infatti caratterizzata visivamente da linee che hanno spessori molto differenti.
Questa struttura possiede uno scheletro essenziale costituito dai pilastri verticali che la percorrono per tutta l’altezza, cui si contrappongono elementi quali le finestre e i loro decori, che si intrecciano visivamente ai pilastri creando un reticolo di linee di diverso spessore ed importanza visiva.
Così il carattere «Velasca» è caratterizzato da una gradazione di pesi molto ampia, dal chiarissimo – extra light (che richiama i pilastrini che decorano le finestre) al nerissimo – heavy (che ricorda l’imponenza dei contrafforti).




I lavori già presentati nei precedenti post:
Il «Salieri» di Diana Quarti
Il «Velasca» di Nora Dealti
Il «Monumentale» di Pierfrancesco Annichiarico
Il «MilanoCentrale» di Alberto Manzella
Il «Labi.bold» di Laura Ferrario

Type Design 3: il “MilanoCentrale Regular” di Alberto Manzella

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Prova di applicazione del carattere nella segnaletica (sopra) e nel tabellone partenze / arrivi (sotto)

Eccoci al quarto appuntamento settimanale con i lavori dei partecipanti alla terza edizione del “Corso di Alta Formazione in Type Design” presso il Poli.design di Milano.
Dopo aver presentato, nelle scorse settimane, il “Salieri” di Diana Quarti per il “Teatro alla Scala”, il “Velasca” di Nora Dealti per la “Torre Velasca” e il “Monumentale” di Pierfrancesco Annichiarico per la “Ca’ Brutta”, questa settimana tocca al “MilanoCentrale Regular” di Alberto Manzella per la “Stazione Centrale”.

Nei prossimi appuntamenti del post del martedì vedremo, di settimana in settimana, gli altri lavori sempre abbinati a queste quattro architetture milanesi.

Targa commemorativa della posa della prima pietra per ledificazione della Stazione Centrale di Milano
Targa commemorativa della posa della prima pietra per l’edificazione della Stazione Centrale di Milano

Una breve storia delle stazioni ferroviarie milanesi fino alla edificazione de Stazione Centrale. Nel 1850, Milano contava due stazioni ferroviarie non collegate fra loro: Milano Porta Nuova e Milano Porta Tosa (che di seguito diventerà Milano Porta Vittoria), site al termine di due linee ferroviarie, una diretta a Monza e l’altra a Venezia.
Tra il 1885 e il 1891 vengono edificate altre quattro stazioni secondarie: Porta Sempione, Rogoredo, Porta Romana e Porta Garibaldi che erano collegate da una nuova circonvallazione ferroviaria, ma il traffico ferroviario risultava ancora insufficiente in proporzione all’aumento degli utenti.
Il 15 gennaio 1906 viene indetto il primo concorso per la costruzione di una nuova stazione ad alta capacità, al quale parteciparono i più importanti architetti milanesi i quali presentarono progetti isprati a classicismo ed eclettismo allora molto diffusi, attraverso ampie cupole e decorazioni monumentali. Il vincitore selezionato del progetto fu l’architetto Cantoni, ma tale progetto non fu mai realizzato. Sei anni più tardi l’amministrazione organizzò un’altra gara, questa volta vinta dall’architetto Ulisse Stacchini. Architettura imponente arricchita da ornamenti quali: corone, festoni, motivi geometrici astratti. Con la variante del 1915, furono eliminati: torri, statue, orologi, festoni e quadrighe, conferendo maggiore austerità in un contesto di Italia Giolittiana.
Nel 1924 avviene l’approvazione definitiva del progetto di Stacchini. Il mutamento politico impose nuove esigenze architettoniche e conseguenti nuove scelte decorative con simboli legati al Fascismo.
Vennero sostituite le pensiline sui binari previste nel progetto iniziale e introdotte le tre grandi tettoie in ferro secondo il progetto dell’ingegnere Albero Fava. Nel maggio 1931, la stazione fu finalmente inaugurata.
La stazione di “Milano Centrale” è la seconda stazione ferroviaria italiana per grandezza e volume di traffico, accoglie circa 600 treni al giorno, due linee della metropolitana che la collegano al vicino Passante Ferroviario, è il terminal di diverse linee di autobus urbani e interurbani e tram nonché le navette per i tre aeroporti dell’area milanese. Ogni giorno è utilizzata da più di 320 mila persone, per un totale di 120 milioni l’anno.

“In motu vita” è il motto del progetto di Ulisse Stacchini. Lo stile archittettonico della nuova Stazione Centrale, risente dell’influenza delle diverse correnti che hanno caratterizzato il Novecento, in particolare il Liberty e l’Art Déco. “Stazione di testa” per poter essere avvicinata il più possibile al centro urbano senza intersecare le arterie principali, la stazione comprende un fabbricato costituito da un corpo centrale con la facciata su Piazzale Doria e due edifici laterali. La parte esterna dell’edificio, fu improntata ad uno stile di derivazione classica, che l’architetto Stacchini volle poi personalizzare con fregi decorativi e nei colori dei vari marmi pregiati di cui è riccamente decorata (così come negli arredi per l’illuminazione), consacrandola a patrimonio artistico della città.

Il carattere «MilanoCentrale» nasce dall’analisi di queste caratteristiche fuse in un’interpretazione che vuole sottolineare gli stilemi grafici creando un ponte tra passato e presente.
Le forme si ricollegano molto ai caratteri lineari futuristi degli anni ’30 meno appariscenti ma molto presenti nelle architetture di quel periodo, ma allo stesso tempo tendenti a forme successive. La lettera ‘A’ ed i numeri sono tipici dei caratteri “fascisti” mentre le altre consonanti sono molto l’influenzate dalla “Bauhaus”. Le minuscole hanno forme contemporanee. L’insieme però risulta armonioso e pertanto valido.

Type Design 3: il “Monumentale” di Pierfrancesco Annichiarico

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Eccoci al terzo appuntamento settimanale con i lavori dei partecipanti alla terza edizione del “Corso di Alta Formazione in Type Design” presso il Poli.design di Milano.

Dopo aver presentato il “Salieri” di Diana Quarti e il “Velasca” di Nora Dealti, questa settimana tocca al “Monumentale” di Pierfrancesco Annichiarico.

Il “Monumentale” è una font che trae aspirazione dalle forme architettoniche della “Ca’ Brutta” edificio progettato da Giovanni Muzio, una delle figure di punta del panorama architettonico milanese e italiano del Novecento, sito in Via della Moscova, nelle vicinanze di Piazza della Repubblica, a Milano.

Giovanni Muzio si inserisce nel dibattito architettonico italiano, che vede gli architetti da un lato schierati a favore di quelle creazioni monumentali e magniloquenti tanto care al regime fascista, dall’altro propensi a introdurre in Italia lo stile internazionale, asciutto e funzionale, di un Gropius o di un Le Corbusier; e vi si inserisce portandovi una propria visione del fare architettura che non tralasci la grande tradizione italiana, ma non trascuri neppure le innovazioni tecnologiche, fondando un lessico nuovo, sobrio e colto al tempo stesso. Muzio decise di decorare l’edificio caratterizzandolo all’esterno con tutta una serie di richiami al repertorio classico (l’arco di trionfo che unisce i due corpi, le nicchie, le colonne, i timpani, le balaustre, ecc.) distribuiti in modo da sottolineare all’esterno l’interna distribuzione degli spazi: ad ogni appartamento corrisponde un motivo decorativo in facciata. Nelle decorazioni vi è una ricerca dell’ordine e della regola proprio nel ripetersi delle decorazioni sobrie e geometriche intervallati da pattern decorativi dalle ombre corte con elementi semplificati e ridotti a segno.

Idea di partenza per la progettazione del “Monumentale” partendo dalle forme della planimetria della “Ca’ Brutta”
Primi disegni
Primi disegni – La facciata della “Ca’ Brutta” – Prova di applicazione archigrafica della font
Pierfrancesco Annichiarico presenta il suo lavoro al Prof. Giovanni Baule

Partendo da tali presupposti Pierfrancesco Annichiarico ha creato una font che contenesse in se gli elementi distintivi di questa architettura. Inoltre, fondamentali per la sua realizzazione, sono state le opere degli esponenti italiani del Futurismo, in particolar modo quelle di Fortunato Depero. Pertanto l’operazione principale è stata quella di ammorbidire le forme, piuttosto rigide, degli alfabeti in uso in quel periodo.

Fondamentale per la forma finale dei vari glifi è stato il gioco architettonico voluto da Muzio nel contrasto tra rette e curve presente nella pianta dell’edificio, nonché nella sua decorazione.

Nella font “Monumentale” sono stati eseguiti alcuni accorgimenti nelle forme dei glifi che hanno permesso di renderla più armoniosa; la diversa inclinazione nelle aste diagonali nella ‘A’, ad esempio, riesce a ridurre notevolmente il bianco esterno, permettendo di integrarlo meglio nella scrittura, rendendo più fluido il flusso di glifi, soprattutto tra le coppie ‘TA’, ‘IA’, ‘QA’, ‘AA’ e affini.

Positivo - negativo
Prova compositiva e cromatica con positivo – negativo


Type Design 3: il “Velasca” di Nora Dealti

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Dopo il Salieri” di Diana Quarti, postato su questo blog la settimana scorsa, proseguo con l’appuntamento settimanale, dedicato ai lavori dei partecipanti alla terza edizione del “Corso di Alta Formazione in Type Design” presso il Poli.design di Milano. Questo secondo lavoro presentato è il “Velasca” di Nora Dealti, un lineare coerente con l’architettura particolare della Torre Velasca in Milano.

La font “Velasca” nasce dalla volontà di unire tradizione e innovazione, proprio come l’edificio progettato da BBPR cinquant’anni fa ha guardato agli interventi delle vicine mura spagnole. Ispirandosi quindi alla “tradizione” cioè allo stretto carattere bastone attualmente impiegato nella segnaletica interna del palazzo, si è disegnata una font contemporanea con degli ink-trap accentuati al punto da diventare dei veri e propri segni grafici in grado di caratterizzare le lettere. Alcuni glifi (A, V, X, Y, W) ricordano molto la struttura dei contrafforti utilizzati persostenere la parte alta e aggettante dell’edificio.

Percorso progettuale

Dovendo ideare un alfabeto in linea con l’architettura, la prima considerazione è stata quella di mantenere una certa geometria e un certo rigore, caratterizzanti l’edificio. Nel corso di un sopralluogo si è notato un semplice sistema di segnaletica interna, basato su un lettering molto “Anni Cinquanta”, perfettamente in linea con la struttura. Le lettere, come si può notare, sono piuttosto strette (condensed) e alte, hanno tratti curvi e sono perfettamente leggibili.

Idea

La font “Velasca” mantiene grossomodo le proporzioni delle lettere esistenti all’interno dell’edificio. Le linee mediane dei glifi tendono in generale ad essere ribassate; questa scelta è stata fatta per bilanciare la lettura “dal basso” che la persona avrà di fronte all’archigrafia. Inoltre si è decisa per le lettere “A”, “V”, “W”, “V” e “Y” una costruzione particolare, che ricordi i contrafforti impiegati nella parte superiore dell’edificio per sostenere gli ultimi cinque piani del palazzo, destinati ad abitazioni civili. Infine per “svecchiare” il carattere e renderlo contemporaneo si è scelto di fare degli ink-trap che, oltre ad essere utili a corpi medio-picoli e a scongiurare una sorta di “abbagliamento” nell’utilizzo della segnaletica, costituiscono un vero e proprio segno grafico, caratterizzante il carattere stesso. In alcuni casi a questo forte incavo si è preferito un vero e proprio taglio (lettere “K”, “Q” ed “R”). La serie completa della font sarebbe stata costituita da lettere maiuscole e minuscole (più tutti gli accenti, i numeri e i segni d’interpunzione) in due pesi. Ad oggi è stata realizzato l’alfabeto maiuscolo.