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Le misurazioni tipografiche

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Tipometro in punti PICA per la determinazione delle interlinee
Il tipometro è lo strumento che serve per la misurazione e la regolazione
Il tipometro è lo strumento che serve per la misurazione e la regolazione di tutto secondo le unità tipografiche. Nel presente modello la scala delle interlinee è in punti Didot.

Il sistema della misurazione dei caratteri tipografici, introdotto nel ‘700, ha prodotto vari benefici. Uno di questi è il fatto che i caratteri e gli spazi prodotti da diverse fonderie potevano finalmente essere mescolati insieme per comporre del testo senza impunità. La puntuazione è diminuita d’importanza con l’aumento delle macchine per la composizione meccanica prima, e della digitalizzazione poi. In effetti lo stampatore è divenuto il fonditore dei propri caratteri.

Quello che ha continuato ad essere un beneficio importante era il fatto che i caratteri tipografici, di misure diverse, possono essere messi insieme sulla base di un semplice adattamento aritmetico. E c’è stato un altro miglioramento: nei primi anni del ‘900 il piacere di rifondere “re-cast” i caratteri da parte dei fonditori, ha portato notevoli benefici nella regolarità e stabilità dimensionale, infatti portando tutti i tipi, tondi, corsivi, romani, ecc; su allineamenti comuni questi possono essere fiancheggiati insieme senza il pericolo dei precedenti accidenti di linee basi incalcolate.

Sistema Didot

Nel sistema di misura duodecimale di François-Ambroise Didot (del 1770) la misura di partenza, che risale a Carlo Magno (VIII-IX secolo), è il “piede del re” (32,484 cm); dal piede si ricava il “pollice”, corrispondente alla sua 12a parte (2,707 cm); dal pollice, la “linea”, che corrisponde alla sua 12a parte (2,256 mm); dalla linea si ricava il il punto tipografico, che corrisponde alla sua 6a parte cioè 0,376 mm. Il punto risulta, quindi, la 864a parte del “piede del re”. La corrispondente riga tipografica è pari a 4,512 mm e viene anche chiamata Cicero.

Sistema PICA

La misura tipografica duodecimale dei paesi anglo-americani è il Pica derivante dalla misura inglese, il “pollice” (2,54 cm) la misura legale confermata ufficialmente per l’Impero Britannico nel 1824. Dal pollice si ricava la “Pica”, corrispondente alla sua 6a parte (4,234 mm); dalla Pica si ricava il “punto pica”, corrispondente alla sua 12a parte. Il punto tipografico risulta, quindi, la 72a parte del

“pollice” inglese pari a 0,351 mm, pertanto leggermente più piccolo del punto Didot,

la riga tipografica, che viene anche chiamata Pica, corrisponde sempre a 12 punti cioè a 4,217 mm, ossia una misura vicina, ma non esattamente uguale, ad un sesto di pollice.

Il sistema Pica viene tuttora utilizzato nei paesi anglo-americani e nei software d’impaginazione dei Computers dove è il sistema predefinito, il sistema Didot è attualmente meno utilizzato dai progettisti grafici ma sempre preferito dai tipografi europei.

Sistemi ATA, TeX, PostScript

La misurazione Pica, attualmente, si divide in tre tipi distinti con impercettibili variazioni di misura: ATA (quella tradizionale formulata da van De Vinne nel 1886 per l’American Typefounders Association e utilizzata la prima volta dalla fonderia americana “Marder, Luse & Co.” di Chicago), TeX (basata sul sistema di composizione di Donald Knuth (1994), ideatore del concetto di literate programming, per la stesura di testi di matematica) e PostScript (formulata negli anni ‘90 dello scorso secolo da Adobe e utilizzata per l’utilizzo dei caratteri digitali).

Altre misurazioni

Altri metodi di misurazioni tipografiche, ora non più utilizzate sono stati quelli dell’Imprimerie nationale di Parigi, di Sébastien Truchet (1694) e di Pierre Fournier (1737).

Il metodo, oramai obsoleto, dell’Imprimerie nationale (già Imprimerie Royale fondata nel 1640 da Luigi XIII e dal Cardinale Richelieu) si basava su una unità di misura “point métrique” creato nel 1790 al momento dell’adozione del sistema metrico nella Rivoluzione Francese. Era l’equivalente a 0,4 mm.

Prima del metodo Didot, in Francia, si utilizzava quello del frate Sébastien Truchet, nominato da Luigi XIV ha contribuire al lavoro della serie completa di caratteri del «Romain du Roi», insieme a Jaugeon e Des Billettes, e che Grandjean successivamente ha usato nella stampa. Il primo suo studio di un metodo tipometrico data 1694 e si basava sui seguenti principi: tutti i caratteri sono misurabili e tale misura si basa su unità legale di lunghezza; la scala di una possibile grandezza di corpo è governata dalla seguente regola: i corpi sono dedotti dai corpi precedenti con aggiunta incrementale di una loro progressione geometrica; i corpi sono 7,5 – 9 – 10,5 – 12 inoltre 15 – 18 – 21. – 24, ecc. La misura reale del carattere è quindi 7,5 linee seconde, 9 linee seconde, ecc.

Il secondo progetto data 1695, basato su 1/24 di linea, il terzo utilizza una unità piccola corrispondente a 1/204 di linea (equivalente oggi a 0,011 057 mm). Un punto corrispondeva quindi a 1/12 di un 1/12 del “piede del re”.

La scala di stampa del sistema di misurazione tipografica di Fournier, dal “Manuel Typographique”, Barbou, Paris 1764
La scala di stampa del sistema di misurazione tipografica di Fournier, dal “Manuel Typographique”, Barbou, Paris 1764

In Belgio, fino a poco tempo fa, si utilizzava ancora la puntuazione Fournier formulata nel 1737 da Pierre Fournier, che utilizzerà 7 parti delle 204 proposte da Truchet, con la prima definizione del punto tipografico come 1/12 della misurazione del “Cicero” francese. Questa definizione è stata in origine presentata nel libretto «Tables des Proportions qu’il faut observer entre les caractères». Tale unità di misura pari a 0,348 mm e corrispondente riga “mediaan” pari a 4,180 mm.

• 1 punto (Truchet) = 0,188 mm

• 1 punto (métrique dell’Imprimerie nationale, IN) = 0,4 mm

• 1 punto (Fournier) = 0,3483 mm (ora inutilizzato)

• 1 punto (Didot) = 0,376 mm = 1/72 del “piede del re” (27,07 mm)

• 1 punto (Pica ATA) = 0,3514598 mm = 0,013837 inch

• 1 punto (Pica TeX) = 0,3514598035 mm = 1/72,27 inch

• 1 punto (Pica PostScript PS) = 0,3527777778 mm = 1/72 inch

• 1 mediaan = 4,180 mm = 12 punti (Fournier)

• 1 cicero = 4,531 mm = 12 punti (Didot)

• 1 pica (ATA) = 4,2175176 mm = 12 punti (ATA)

• 1 pica (TeX) = 4,217517642 mm = 12 punti (TeX)

• 1 pica (PostScript PS) = 4,233333333 mm = 12 punti (PostScript)

Il mercato della stampa e del Desk Top Publishing (DTP) attualmente è dominato dal mondo informatico dove la quasi totalità dei produttori di software grafico sono degli Stati Uniti (Apple, Adobe, Microsoft, Quark, Macromedia, ecc.), pertanto ha obbligato i fruitori di tali software ad utilizzare unicamente il metodo Pica – PostScript.

Tale confusione di sistemi ha creato diversi problemi tra gli utilizzatori grafici, tipografici, ecc; i principali sono:

– L’unità dominante della lunghezza, il punto del PostScript, ha con il valore di 25,4/72 = 0,352777 mm un rapporto molto inopportuno alle unità ampiamente usate di giustezza del testo (tester e millimetro);

– Non esiste nessuna pratica per denotare una dimensione.

Un esempio di una convenzione piuttosto stabilita deve specificare la lunghezza “di un em” nei punti del PostScript. Storicamente, “em” era la larghezza del tipo di metallo più largo dentro una serie completa di caratteri tipografici, che era tipicamente, per le serie complete di caratteri latini, la lettera maiuscola (M). Oggi, i punti di controllo dei profili digitali della serie completa di caratteri sono memorizzati in termini di coordinate e vettori all’interno di un quadrato dell’unità. Questo quadrato è un equivalente vago del formato di tipo massimo storico del metallo e la relativa lunghezza laterale si è transformata nell’incarnazione moderna del “em”. Di conseguenza, nessuna dimensione facilmente misurabile in un testo abbina la lunghezza del punto che indica una dimensione;

– Le risoluzioni dei dispositivi di uscita sono ancora specificate frequentemente in dpi (punti/pollice), che è il valore reciproco del formato del pixel moltiplicato con 25,4 millimetri.

Metodo decimale UNI

Una proposta per l’introduzione di una unità standard, basata sul sistema metrico decimale tipometrico in sostituzione dei metodi duodecimali Didot e Pica è da tempo in fase di studio da parte di una sotto-commissione dell’UNI, che si occupa della composizione. Tale proposta di studio riguardante la misurazione dei corpi dei caratteri, il cui utilizzo è stato rimandato per la pressione delle software-house intenzionate a mantenere il metodo Pica-PostScript, è stata così formulata:

– fino a 3 mm, incrementi di 1/10 di millimetro (dal c 4 al c 8 circa);

– fino a 4 mm, incrementi di 2/10 di millimetro (dal c 8 al c 11 circa);

– fino a 8 mm, incrementi di 5/10 di millimetro (dal c 11 al c 24 circa);

– fino a 14 mm, incrementi di millimetro (dal c 24 al c 42 circa);

– fino a 20 mm, incrementi di 2 mm (dal c 42 al c 60 circa);

– da 20 mm in su, incrementi di 5 mm.

segue su “Le misurazione tipografiche (2)”

I caratteri mobili di legno e l’invenzione della stampa

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Tondi, corsivi, romani, lineari tante sono le serie di caratteri in legno di pero utilizzate nella “vecchia” tipografia per stampare in corpi grandi.
Tondi, corsivi, romani, lineari tante sono le serie di caratteri in legno di pero utilizzate nella “vecchia” tipografia per stampare in corpi grandi.

I caratteri mobili sono stati inventati nel 1041 dai cinesi. Phi Sing ebbe l’idea di tagliare blocchi di creta a forma di ideogrammi dell’alfabeto cinese; questi, dopo essersi induriti, venivano incollati ad un supporto, venivano inchiostrati e premuti su un foglio. I caratteri mobili potevano essere smontati e rimontati secondo le esigenze. I caratteri mobili cinesi non potevano essere utilizzati a lungo perché essendo fatti di creta si rompevano.

I primi caratteri mobili in legno datano 1298 quando Wang Zhen, un ufficiale, sostituì i fragili caratteri in creta e argilla con i più duraturi in legno intagliato. Egli sviluppò un complesso sistema di tavole girevoli e associazioni tra numeri e caratteri cinesi che rendevano la resa qualitativa più efficiente.

Nel 1377 in Corea furono inventati i caratteri mobili in metallo.

La tecnologia impiegata in Asia può essersi diffusa in Europa attraverso le vie del commercio per l’India o per il mondo arabo. In Europa, furono stampate inizialmente intere tavole intagliate su legno, visto che non resistevano a lungo, decisero di imitare i cinesi. Si elaborò una nuova tecnica: consisteva nel versare in blocchi d’argilla del metallo fuso per ottenere una tavola stampata. Cosi si arrivò alla fusione delle singole lettere, furono fatte con stampini di varia forma alfabetica, in modo che ogni singola lettera unita ad altre formasse una parola. L’intuizione fu quella di fabbricare le matrici di ogni singola lettera dell’alfabeto per poter stampare un qualsiasi testo combinandole in tutti i modi, componendo e scomponendo testi, riutilizzando gli stessi caratteri per altre composizioni, nonché la possibilità di stampare svariate copie (identiche) in breve tempo rispetto ai libri manoscritti.

Su chi per primo in Europa utilizzò questo innovativo mezzo, che andava a sostituire la scrittura amanuense, ci sono ancora diverse versioni e opinioni: una vede il feltrino Pànfilo Castaldi, dotto insegnante, poeta e medico, nato a Feltre nel 1430 (una lunga diatriba tra Feltre e Magonza, tra sostenitori del Castaldi e quelli del Gutenberg lo fa emergere nell’Ottocento come la risposta italiana al teutonico inventore della stampa. E molti documenti indicano a Panfilo lo stesso anno di nascita di Gutenberg il 22 settembre 1398), come l’inventore dei caratteri mobili da stampa in legno utilizzando un torchio già dal 1456, un anno prima di Johann Gensfleish, passato alla storia col nome di Gutenberg, e aprì la sua prima stamperia a Capodistria e poi nel 1471 diresse con un socio, Filippo da Lavagna, una tipografia a Milano avendo ottenuto dal Duca Galeazzo Maria Sforza, una patente, cioè un brevetto, per stampare libri in esclusiva; l’altra vede il più famoso Gutenberg con Johann Fust e Peter Schöffer a Magonza inventare il sistema di stampa (il primo libro con data certa stampato in Magonza dal Fust e Schöffer con caratteri di legno mobili, è del 1457 Codex Psalmorum); un’altra ancora vede Gutenberg che apprese tale invenzione dal Castaldi a Feltre quando venne nella città veneta, ospite dell’insegnante feltrino, per imparare l’idioma italiano facendosi chiamare Giovanni Fausto Comesburgo e che una volta ritornato nella sua Magonza certamente sviluppò e migliorò il sistema di stampa inumidendo i fogli per una migliore qualità nell’impressione dei caratteri, ma anche se ne attribuì il credito di primo inventore.

Panfilo Castaldi
Panfilo Castaldi

Diversi sono i documenti ritrovati a Venezia che trattano la questione: Marc’Antonio Coccio, detto Sabèllico, nato in Vicovaro (presso Roma) il 1436, professore di eloquenza in Udine (1475) e Venezia poi, dov’era conservatore della biblioteca di San Marco. Egli nel libro VIII, decade III della Storia Veneta, scritta per ordine del Senato e pubblicata nel 1486, scrive, parlando di Pasquale Malipiero, doge di Venezia dal 30 ottobre 1457 al 5 maggio 1462, in cui morì: “Alle altre felicità del suo principato s’aggiunse che allora per la prima volta la maniera di stampare i libri fu trovata in Italia: quell’invenzione stessa che si crede essere di un Germano (Gutenberg)” poi lo stesso Sabèllico elogia un altro grande prototipografo Nicolas Jenson che perfezionò l’arte della stampa: “Ma dopochè coll’andar del tempo si furono stabilite in tutta l’Italia delle officine della divina arte, e con aperta emulazione si gareggiava fra gli operaj di ingegno e diligenza, Nicolao Jenson, che la città di Venezia ebbe in sorte, in cotal lode si lasciò addietro di gran lunga tutti gli altri”.

Ma c’è una questione che ha creato confusione, ovvero le date trovate in questi documenti del Sabèllico: del settembre 1469 è un diploma del Senato Veneto che concede al maestro Giovanni da Spira, il privilegio di esercitare egli solo l’arte in Venezia e dintorno, per cinque anni dalla data del decreto, e questo Giovanni da Spira in un libro stampato nel 1468 dice di sé che “Primus in Adriaca formis impressit aenis Urbe libros…” quando già dal 1461(?) operava in Venezia Nicolas Jenson e stampava pure a Venezia un sacerdote italiano: Clemente Padovano (o da Padova). Come mai potè il Sabèllico asserire che la stampa fu introdotta in Italia nel 1458 se solo nel 1465 fu in Subiaco? se solo nel 1462 con la presa di Magonza fatta da Adolfo di Nassau, gli operai tipografi si tennero sciolti dal giuramento, disperdendosi a fondare nuove stamperie, se nella stessa Germania, fuori di Magonza e di Bamberga (1461), non ci sono tipografie prima del 1466(?) Se dunque in Italia verso il 1456 c’era già qualcosa in quanto furono ritrovati stampati sotto il doge Malipiero, che muore nel maggio 1462, e il nuovo pontificato di Pio II che subbentrò a Callisto III morto nell’agosto del 1458. Quindi c’è una coincidenza strabiliante tra i documenti veneziani (1457 – 1458) e il primo libro stampato in Germania dal Fust e Schöffer con caratteri mobili 1457. Quindi l’invenzione dei caratteri mobili in Italia è stata fatta 16 anni prima che venisse “importata” dalla Germania. Secondo una tradizione ancora non provata, fu proprio nel 1461 che Castaldi stampò due rari foglietti, Il responsorio di Sant’Antonio di Padova e l’Orazione alla Santa Sindone.

Ad ogni modo è certo che il Càstaldi fu un tipografo di un certo successo in quanto ci è nota la tiratura di 300 copie delle Epistole di Cicerone fatta nel 1471

Comunque sia ognuno tira l’acqua al suo mulino, per i tedeschi sarà sempre Gutenberg l’inventore, mentre per gli italiani il nome di Pànfilo Castaldi non dice nulla come dell’altro “sperimentatore” l’orafo fiorentino Bernardo Cennini nato a Firenze nel 1414 che si dedicò all’arte della stampa producendo con i figli Pietro e Domenico il primo libro incunabulum a Firenze (In tria Virgilii Opera Expositio di Servio; 1471).

Un’ultima curiosità: nessuno studioso prese mai in esame la notizia (da rogito) che Pànfilo Castaldi sposò nel 1454 una nipote di Marco Polo, Caterina da Pola, che tra i beni dotali aveva caratteri mobili portati a Venezia dal Cataio in Cina.

Tornando ai caratteri in legno, oramai non più utilizzati ma sempre bellissimi da collezionare, erano fatti in legno di pero in quanto tale legno è facilmente lavorabile nell’intaglio ma allo stesso tempo resistentissimo alla pressione del torchio.

Il Castaldi morirà a Zara, in Dalmazia, a 57 anni nel 1487.

Le quattro lapidi nel basamento della statua dedicata a Panfilo Castaldi a Feltre
Bibliografia: Archivio Storico di Venezia, Biblioteca Marciana di Venezia e tanti libri …

Ulteriori notizie su http://www.melograno.net/talpanet/panfilo/fornari1.htm