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TypeDesign4: “Solari Mono Fermo e Remigio” di Filippo Dalla Villa

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Riprendo, dopo la sosta natalizia, l’inserimento dei post sui lavori dei partecipanti alla 4ª edizione del Corso di Alta Fomazione in Type Design presso il Consorzio Poli.design di Milano lo scorso settembre e ottobre.

I caratteri tipografici Solari Mono Fermo e Solari Mono Remigio sono stati progettati e realizzati da Filippo Dalla Villa co-titolare della Freskiz Comunicate a Fratta Polesine (RO).

Solari Mono Fermo e Solari Mono Remigio sono caratteri monospaziati oggetto di una sperimentazione, per generare nuovi elementi tipografici utilizzabili dalla ditta Solari di Udine per la comunicazione e l’impiego tecnico aziendali.

I due caratteri progettati e realizzati prendono il nome da due grandi personaggi degli anni Cinquanta, che hanno saputo rilanciare il nome dell’azienda Solari nel mondo: i fratelli Fermo e Remigio Solari.

Fermo, genio dell’organizzazione e della gestione dalla personalità eclettica e coinvolgente, ha rappresentato in quegli anni il modello dell’imprenditore moderno, rivolto al mercato e attentissimo alle tecniche di marketing.

Remigio, con la sua passione per la meccanica, ha progettato il sistema a paletta, una vera e propria invenzione che ha sconvolto le normali metodologie di visualizzazione dell’ora e dell’informazione al pubblico.

Solari Mono Fermo e Solari Mono Remigio cercano di trovare una soluzione ottica e di stile ai caratteri tipografici come Helvetica e simili, fino a oggi impiegati nei sistemi RID a paletta della ditta Solari.

I due caratteri, infatti, sono stati progettati tenendo presente il taglio centrale del sistema a paletta.

Il progetto prevede l’introduzione delle lettere minuscole finora impiegate con grossi problemi ottici, che non riguardano solo il taglio centrale delle palette. I problemi sono stati risolti aumentando l’x-height.

Il carattere Solari Mono Fermo è previsto per l’impiego nell’ambito della titolazione dei materiali di comunicazione della ditta Solari. Solari Mono Remigio, derivato dal Solari Mono Fermo, è previsto per l’uso nei sistemi RID, attualmente in uso.

Buon 90° compleanno Hermann! – 8 novembre 2008

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Questo è un anno di compleanni speciali, dopo gli 80 di Adrian Frutiger e di Wim Crouwel, oggi 8 novembre Hermann Zapf, il più prolifico disegnatore di caratteri vivente, compie 90 anni.

Nato a Norimberga l’8 novembre 1918 è sposato con la calligrafa e disegnatrice di caratteri Gudrun Zapf-von Hesse vive a Darmstadt in Germania. Ha imparato la calligrafia da autodidatta guardando i libri di Rudolf Kock e Edward Johnston. Egli ha avuto una illustre carriera nella progettazione dei caratteri e degli artefatti tipografici che si estende per oltre cinquanta anni rimanendo un tradizionalista ma anche un innovatore moderno allo stesso tempo.

Hermann Zapf è riconosciuto come uno dei leader mondiali del type designer e della tipografia, dopo aver progettato numerosi caratteri romani, greci e arabi soffrendo però le ferite della lama a doppio taglio della venerazione, visto che i suoi caratteri, che includono i tipi «Palatino» ed «Optima», sono stati oltre che i più ammirati anche i più imitati. L’esempio più noto è il «Book Antiqua», distribuito con Microsoft Office™ che è considerato un vero proprio plagio del suo «Palatino». Proprio per questo, nel 1993 egli rassegnò le dimissioni dall’ATypI (Association Typographique Internationale) per quella che considerava un atteggiamento ipocrita sulla copiatura non autorizzata da parte dei membri dell’ATypI.

Oltre ai già citati «Palatino» e «Optima» Zapf ha disegnato altri famosi caratteri tra i quali ricordo «Melior», «Virtuosa», «Aldus» e «Kompakt» creati all’inizio della sua carriera. Questi sono stati progettati principalmente per la Linotype. Poiché suoi disegni sono stati e sono tuttora, una componente essenziale di ogni ben pianificata offerta tipografica, i concorrenti della Linotype hanno prodotto dei cloni virtuali di caratteri tipografici di Zapf per i propri clienti. Dopo aver visto cosa accadeva in quel periodo, Zapf ha concluso che non era né intelligente né proficuo continuare una carriera di progettazione di caratteri che poi gli altri ti plagiamo, pertanto nella metà degli anni ‘60 smette la progettazione commerciale.

Passò più di un decennio prima che progettò un nuovo carattere tipografico in occasione della fondazione della ITC (International Typeface Corporation) nel 1971 da parte di Aaron Burns che convinse Zapf della filosofia aziendale basata sul principio che avrebbe acquisito le licenza dei disegni tipografici su una base di non esclusività in modo da creare un semplice rapporto d’affari senza restrizioni tra le parti.
Il rapporto con ITC continua, con la progettazione dei «ITC Zapf International» nel 1976 e «ITC Zapf Chancery» nel 1978. Sempre del 1976 è il «ITC Zapf Book» una miscela di «Melior», «Bodoni» e «Walbaum» per fare un carattere da testo al quale sono stati aggiunti più tardi caratteri swash caratteri per la visualizzazione. Nel 1977 Zapf, Burns e Herb Lubalin fondano una società denominata Design Processing International a New York per sviluppare software tipografici per computer. Dopo la morte di Lubalin nel 1981, la società diventa Zapf, Burns & Company. Con la morte di Burns nel 1991, che era stato responsabile della commercializzazione, si scioglie la società in quanto Zapf non voleva gestire una società americana dalla Germania e non voleva vivere a New York. Iniziò, invece, a sviluppare, in collaborazione con una società tedesca di software, un programma di typesetting chiamato “Hz-program” ma tale società fallì nella metà degli anni ’90 e il progetto si fermò.

Un carattere tipografico che potrebbe superare la popolarità della sua prima terna di «Optima», «Palatino» e «Melior» si è sviluppato in un progetto per sostenere ancora un altro software. Nei primi anni ’90 Zapf sviluppa un carattere tipografico “corsivo dritto” chiamato «AMS-Euler» per l’American Mathematical Society. Si è trattato di un progetto di collaborazione con la Stanford University con l’assistenza del professore Donald Knuth e un giovane studente, David Siegel, che ha convertito i disegni di Zapf in caratteri digitali utilizzando il METAFONT. Questo carattere cerca di emulare lo stile della calligrafia di un matematico che scriva entità matematiche sulla lavagna, che è dritto, piuttosto che inclinato. Nel 1992 Siegel scrive a Zapf, spiegando la sua idea di replicare grafia in una font. Per rendere la font calligrafica la più realistica possibile, ha spiegato, le lettere e la loro variabili alternative cambiano contestualmente e variano anche con l’altezza dalla linea di base, come con la normale scrittura a mano. Tutto ciò sarebbe stato realizzato con un nuovo software in via di sviluppo. Zapf era incuriosito da l’idea, ma ha anche avuto seri dubbi sul risultato. La risposta a quest’ultima preoccupazione di Zapf è stata la prima digitalizzazione di un piccolo pezzo di calligrafia contenuto in un sketchbook che Zapf aveva conservato mentre era militare. La stessa calligrafia era stata il modello per il «Virtuosa Script», che era stato punzonato e fuso in caratteri di piombo nel 1948. Sapendo che la progettazione del Virtuosa era stata compromessa a causa delle restrizioni che davano i caratteri in metallo convinse Zapf che « … forse questo nuovo software potrebbe consentire di effettuare in un font praticabile la calligrafia … ». Ha progettato pertanto centinaia di caratteri basati sulla calligrafia, compresi molti modelli alternativi per la maggior parte delle lettere e una massiccia serie di swash e legature. Però il processo di digitalizzazione e di implementazione della font da eseguire si era rivelato proibitivo in termini di tempo e tutto fu sospeso fino al 1997 quando Zapf portò i suoi disegni e le prime digitalizzazioni di Siegel alla Linotype.

Hermann Zapf e la Linotype si misero daccordo di produrre quattro alfabeti calligrafici eliminando alcune lettere e sostituendole con delle nuove. Così naque il suo carattere calligrafico «Zapfino», che diviso in quattro font PostScript fu originariamente rilasciato nel 1998 e ridisegnato nel 2003 per sfruttare le nuove potenzialità offerte dal formato digitale delle font OpenType™, questo è stato uno straordinario successo in tutto il mondo. Anche se la risultante font OpenType™, «Zapfino Extra», ha notevolmente più glifi comprese molte legature e variabili della stessa lettera, con questa tecnologia è più semplice l’utilizzo che permette di rendere più veritieri i caratteri calligrafici digitalizzati. Convertire il disegno originale in un font OpenType™ è stato un compito monumentale, ma Zapf, in collaborazione con la Linotype design sotto la direzione di Akira Kobayashi ci riuscì con un tour de force.

Hermann Zapf è stato fatto Honorary Designer for Industry dalla Royal Society of Arts e ha vinto innumerevoli premi. Egli è un membro onorario di oltre venti-quattro associazioni in tutto il mondo ed è anche Presidente onorario della Fondazione Edward Johnston.

I caratteri di Hermann Zapf sono in vendita presso la Linotype. (immagini per gentile concessione di Linotype)

Ecco l’elenco dei caratteri digitalizzati disegnati da Hermann Zapf:

«Aldus» (1954), «Aldus Nova» (2005), «Aurelia» (1983), «Comenius Antiqua BQ» (1976), «Edison» (1978), «AMS-Euler» (1971), «Kompakt» (1954), «Marconi» (1976), «Medici Script» (1971), «Melior» (1952), «Noris Script» (1976), «Optima» (1958), «Optima nova» (2002), «Orion» (1974), «Palatino» (1950), «Palatino nova» (2005), «Palatino Sans» (2006), «Saphir» (1953), «Sistina» (1950), «Vario» (1982), «Venture» (1969), «Linotype Zapf Essentials» (2002), «Zapfino» (1998), «Zapfino Extra (2003), «ITC Zapf Chancery» (1979), «ITC Zapf International» (1976), «ITC Zapf Book» (1976), «Zapf Renaissance Antiqua» (1984–1987), «ITC Zapf Dingbats» (1978).

C’era una volta una segnaletica della Metropolitana Milanese

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Il progetto della segnaletica della Metropolitana Milanese fatto nel 1962 da Bob Noorda
Il progetto della segnaletica della Metropolitana Milanese fatto nel 1962 da Bob Noorda

C’era una volta un ottimo progetto grafico della segnaletica delle prime due linee della Metropolitana Milanese eseguito da Bob Noorda che insieme all’Arch. Albini, Helg e Piva progettarono nei primi anni ‘60 la grafica e l’architettura delle stazioni. Come spiegò Bob Noorda in varie interviste « … beh, la storia della segnaletica della Metro di Milano, era una storia molto interessante, perché la metropolitana era completamente nuova. La struttura era stata fatta e in quel periodo lì l’Architetto Albini ha avuto l’incarico dell’arredamento delle varie stazioni. Anche lui si è trovato, diciamo anche in un momento abbastanza difficile, perché le strutture erano tutte di una finitura in cemento ma non era disegnato. D’accordo era tutto calcolato per il flusso del pubblico, ecc. ma non come una finitura, diciamo, con una espressione già personalizzata. Allora Albini ha trovato una soluzione molto semplice direi, di mettere nelle pareti di un cero materiale e risolvere tutto questo in un modo di grande design. Io ho avuto la fortuna di essere chiamato dall’Albini dal primo momento del progetto. […] Abbiamo tirato fuori un nuovo sistema, diciamo, che è questa famosa fascia rossa della linea uno, e per la linea due la fascia verde, che porta solo le indicazioni della segnaletica per trovare la strada in questi ambienti e anche sulla banchina. Per esempio una novità: prima di allora c’era il nome della stazione indicato una volta sola, in mezzo alla banchina, e io invece ho proposto di ripetere il nome ogni 5 metri in maniera che uno che sta nel treno, ancora in movimento, può subito leggere in quale stazione sta fermando. Questo è stata una novità mondiale, una idea ora copiata in tutte le metropolitane come per esempio Montreal. … ».

Bob Noorda
Bob Noorda

Per questo progetto Bob Noorda disegnò un carattere a mano (64 glifi), chiamato “Noorda” disegnandolo lettera per lettera basandosi sulle forme dell’Helvetica che allora era abbastanza nuovo. La scelta di non utilizzare l’Helvetica direttamente Noorda la fece in quanto doveva utilizzare un carattere bianco su rosso, cioè in negativo. Allora utilizzando l’Helvetica su questo sfondo, la variabile Regular era troppo chiara, il Bold ancora più chiara perché l’effetto in negativo è sempre di amplificazione (ne ho già parlato in un post a proposito della sciagurata scelta del Futura Bold per la nuova segnaletica delle Ferrovie dello Stato); il carattere si allarga otticamente. In più nel suo “Noorda” Bob, oltre ad attenuare le curvature, ha accorciato tutte le discendenti e ascendenti delle lettere in maniera da rendere l’occhio medio del carattere (x-height) più grande ed insieme ad una accorta spaziatura rese la segnaletica molto leggibile. Fino a quando non hanno sconvolto la grafica tale carattere funzionava benissimo. Infatti recentemente con i lavori di manutenzione e adeguamento, prima della linea uno e di seguito della linea due, hanno alterato i delicati equilibri grafici e percettivi studiati da Noorda: il colore è stato modificato e i cartelli riproposti con l’utilizzo dell’Helvetica mal spaziato e con una verniciatura lucida a discapito della leggibilità. Tutto questo è stato fatto senza interpellare Noorda che, rammaricato, ha affermato: «Tutti i lavori pubblici in Italia sono malmessi, il livello è bassissimo, non c’è interesse, manca il gusto estetico. In Olanda, per fare un esempio che conosco bene, c’è molta attenzione per l’immagine».

Che bella segnaletica! (linea due Piola - foto di James Clough)
Che bella segnaletica! (linea due – stazione Piola – foto di James Clough)


Le scritte gialle alle stazioni Lotto e Amendola
Le scritte gialle alle stazioni Lotto e Amendola
sempre più in alto la y!
sempre più in alto la y!

Il risultato di questo restyling è veramente pessimo e non è difficile imbattersi in molti esempi di pessima tipografia fatta con caratteri adesivi senza alcun criterio, poi con l’introduzione dei secondi nomi in alcune stazioni, per evidenziare i monumenti, la fiera o i musei vicini hanno voluto utilizzare le scritte minuscole con però accostamenti cromatici assurdi come le scritte gialle su rosso (linea uno) o peggio ancora su verde (linea due).

Inoltre dopo aver posizionato le prime scritte “Castello”, “Triennale” senza il problema delle discendenti si sono divertiti quando si sono trovati a comporre “Fieramilanocity” con il primo caso di lettera, la (y) con discendente. Guardate un po’ cosa hanno combinato!

In un prossimo post vi farò vedere invece il “capolavoro segnaletico” della linea tre.

C’è occhio e “occhio”

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Abbiamo già visto in un precedente post della categoria “tipometria” la definizione di corpo del carattere e le unità di misura tipografiche.

Però il corpo non è un buon indicatore delle dimensioni del font, ma solo del suo ingombro verticale. Non si direbbe, ma se osservate, le due composizioni di testo sottostanti hanno lo stesso corpo. Quello a sinistra, il «Bernhard Modern», ha infatti le spalle – i tratti ascendenti molto lunghi, e l’occhio “medio” piccolo; quello a destra, il «News Gothic», presenta un occhio “medio” grande.

Anche nell’esempio sottostante tutti i caratteri sono composti con lo stesso corpo, ma alcuni sembrano composti in corpo superiore, altri in corpo inferiore.

Quindi l’occhio del carattere è tutto ciò che si vede della lettera quando essa è stampata, escluse le eventuali accentazioni delle maiuscole. L’occhio è quindi l’altezza e larghezza effettiva della lettera e si divide in tre parti: occhio medio, che viene riferito all’altezza della “x” minuscola x-height; l’occhio superiore che corrisponde alle aste ascendenti delle minuscole – si prende come riferimento la “l”; e l’occhio inferiore che corrisponde alle aste discendenti delle minuscole si prende come riferimento la “p” e la “g” a seconda dei caratteri.

L’occhio medio di una lettera non mantiene sempre le medesime dimensioni e proporzioni in tutti gli alfabeti dello stesso corpo. A parità di corpo, i caratteri con occhio medio grande sembrano molto più grandi di quelli con occhio medio piccolo. Se si desidera ridurre il corpo di un testo per avere più spazio nella pagina, basta scegliere un carattere con occhio medio grande; le lettere che compongono le parole saranno più leggibili. Questa dimensione, o proporzione, è detta “allineamenti dell’occhio medio” ed è definita come l’altezza relativa di una “x” minuscola in rapporto all’altezza della corrispondente maiuscola.

I caratteri con occhio medio – piccolo hanno occhielli più piccoli e aste ascendenti e discendenti più lunghe; vengono di solito usati in testi compatti con interlineatura uguale al corpo o, in alcuni rari casi, con sterlineatura (solo con giustezze piccole), e permettono di contenere il numero delle pagine o la lunghezza di un testo in colonna. I caratteri: «Bembo», «Bodoni», «Baskerville», «Bernhard Modern», «Chaparral», «Garamond», «Jenson», «Perpetua» sono un esempio di caratteri con occhio piccolo, ma tra questi il «Bodoni», anche se non ha l’occhio più piccolo del «Garamond» o dello «Jenson», risulta essere un carattere molto elegante ma di difficile lettura per testi lunghi, si presta molto bene per i “frontespizi”, i “titoli”, quindi con corpi grandi. Lo stesso «Bodoni» dà alla pagina una sensazione di maggiore vuoto, mentre un carattere con occhio medio più grande di esso conferisce una sensazione di maggior compattezza, risultando più estetico in molte situazioni compositive.

Nei caratteri con occhio medio – medio le proporzioni fra le minuscole e i tratti ascendenti sono omogenee e questo fa sì che siano adatti a una vasta gamma di applicazioni. Esempi di caratteri con occhio medio sono: «Futura», «Avenir», «Clarendon», «Times», «Gill Sans», «Optima», «Minion», «Palatino», «Serifa», «GFT Venexiano», «FF Scala», «Bell Gothic» e «Souvenir».

I caratteri con occhio medio – grande sono quelli che offrono il vantaggio della maggiore leggibilità e sono usati dove non esistano problemi di spazio o di economia. Sono quindi indicati per comporre testi per la lettura da parte dei bambini, per i testi scolastici e per i manifesti dove è più importante la comunicazione verbale su quella visiva. I caratteri: «American Typewriter», «New Century Schoolbook», «Antique Olive», «Avant Garde», «Franklin Gothic», «Helvetica», «Letter Gothic», «Myriad», «News Gothic», «Rockwell», «Univers» e «Tiepolo» sono esempi di caratteri con occhio grande.

Testo in portoghese

Robot tipografici

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Giocare con i caratteri è stata sicuramente l’idea di Jonathon Yule, designer canadese, quando ha creato dei manifesti tipografici “Font Bot” consistenti in figure di robot create con i caratteri lineari da lui preferiti: Helvetica, Akzidenz Grotesk e Futura. Tali manifesti sono in vendita sul suo sito. Yule lavora a Toronto come freelance interessandosi al mondo della tipografia in modo creativo. Famoso è il suo lavoro sul Lego.

In una intervista comparsa su internet tempo fa Jonathon spiega come è arrivato a creare questi robot tipografici: “Questa è una lunga storia, ma fondamentalmente è iniziata al liceo, quando sono diventato ossessionato dell’Helvetica e un giorno pensando alla parola stessa “Helvetica”, poi alla parola “Helbotica” il robot che immaginavo nella mia testa. Sono andato a casa ed ho completato Helbotica quella sera. Ho composto una certa parte stupidamente come una storia che Helbotica combatte tutti gli impostori (Arial), ma in realtà si trattava semplicemente di uno dei miei primi esperimenti reali con i caratteri. Il fontbot Futura è venuto come la mia ossessione spostata da Helvetica al Futura, ma non sono stato contento del risultato. L’Akzidenz Grotesk fontbot l’ho creato nel mio primo anno di programma alla YSDN quando la mia ossessione si è spostata ancora una volta verso un altro sans serif: l’Akzidenz Grotesk.
Ho cercato di cambiare figura dal fonbot camminatore ad uno che preferisce nuotare.

Per concludere tutto, è davvero stato solo un grande bambino a giocare con i caratteri”.

Scritto da Giò

settembre 20th, 2008 at 7:51

Testi e caratteri per il video

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Oltre per la grafica editoriale e paraeditoriale l’importanza della scelta dei corpi incide anche sulla lettura a schermo che è più faticosa e la fatica aumenta quando i caratteri sono molto piccoli.

Per esigenze d’impaginazione si tende spesso ad impostare con i fogli di stile caratteri molto piccoli, a 8-10 pixel (per le grandezze non si parlerà più di corpi ma di pixel), specie quando il layout grafico prevede la disposizione dei contenuti su tre o quattro colonne.

Impostazioni di questo genere non sarebbero di per sé discriminanti se non ci fossero alcuni ostacoli critici. Il primo ostacolo è che molti utenti non conoscono adeguatamente le funzionalità del proprio browser e probabilmente non sanno che possono sfruttare lo zoom per ingrandire o rimpicciolire il testo. Fin qui è sufficiente un minimo d’informazione.

La maggior parte dei browser permette di modificare la dimensione dei caratteri, in caso di necessità con comandi facilmente accessibili nella barra dei menu. Le impostazioni di Internet Explorer®, permettono questo controllo in modo più restrittivo e meno elastico rispetto ad altri browser.

La maggiore difficoltà della lettura a monitor (circa il 25% più lenta che su carta) data dalla minor risoluzione rispetto alla carta, dell’emissione luminosa dei video (più affaticante della carta) e dell’innaturale posizione nella quale ci si trova ad affrontare l’atto della lettura su monitor, ha posto a designer e progettisti la necessità di trovare dei modi che potessero bilanciare queste difficoltà.

Il primo risultato è stato quello di preferire caratteri senza grazie, il secondo nella nascita degli screen-font atti a sfruttare al meglio la tecnologia a pixel. Già il sistema operativo Macintosh utilizzava da tempo per i messaggi di sistema un font lineare particolare, il «Chicago», dall’aspetto tozzo e lineare, con poche linee oblique, facile da leggere anche a risoluzioni piuttosto basse.

Esempi di font video, studiati unicamente per questo utilizzo come internet e multimedia e pertanto fortemente sconsigliati nella stampa tradizionale tipografica sono il «Verdana» (1994), il «Tahoma» (2000) e il romano «Georgia» (2000) disegnati dal type-designer Matthew Carter il quale, basandosi su lunghi studi ed esperimenti, ha identificato alcuni parametri che gli hanno consentito di progettare i cosiddetti screen-font per Microsoft. Altro screen-font molto utilizzato nel web design è il «Trebuchet» un lineare umanista progettato dal fotografo & type designer Vincent Connare nel 1996, il quale tra il 1999 e il 2000 progetta il «Magpie» un corsivo che nella forma corsiva ricorda molto i primi corsivi tipografici di tipo calligrafico sempre per l’utilizzo multimediale.

Anche «Arial», già citato in un precedente post di questo mese sulla sua somiglianza e confusione con l’Helvetica, progettato nel 1982 da Robin Nicholas e Patricia Saunders per la Monotype Design Staff come font di sistema operativo per la Microsoft si può considerare come carattere per video e non come, molto erroneamente utilizzato, per la tipografia e per l’immagine coordinata.