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Museum Graphia: l’arte di riprodurre

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In Italia, oltre all’importantissima Tipoteca Italiana fondazione di Cornuda (TV) che ho già trattato in un precedente post e che tornerò a trattare prossimamente, esistono altre entità museali di raccolta di materiali e macchinari storici per la stampa.

La Casa degli stampatori ebraici di Soncino (CR) pure questa già presente in un post del mio blog; il Museo della stampa di Lodi, Il Museo della Stampa di Rivoli (TO), il Museo della stampa di Mondovì (CN), il Museo della Stampa della “Libertà” di Piacenza, la Tipografia e Biblioteca del Monastero armeno dell’isola di S. Lazzaro a Venezia, il Museo dell’Industria e del Lavoro «Eugenio Battisti» di Brescia, il Typographiae di Trapani, e tante altre piccole realtà (tutti saranno trattati prossimamente); il Museum Graphia vicino ad Urbino.

Parto proprio da quest’ultima realtà: il Museum Graphia è il Museo Internazionale della Stampa concepito all’interno delle strutture de la Corte della Miniera nei pressi di Urbino dove tra l’esposizione di macchine da stampa di ogni tipo, dalle più semplici alle più complesse, dalle più antiche alle più moderne, con una moltitudine di accessori e utensili si “respira” la tipografia.

Inoltre è presente una esposizione di incisioni originali esplicative per le varie tecniche incisorie calcografiche o litografiche; come pure di fogli a stampa tipografica che documentano le carte, i formati, i caratteri, l’impaginazione, ecc.

Lo scopo di questa struttura è la didattica oltre alla semplice esposizione, infatti viene visitata ogni anno da varie scolaresche di ogni ordine e grado e dai vicini studenti dell’ISIA di Urbino che qui hanno la possibilità di sperimentare le tecniche incisorie e litografiche, e toccare da vicino le varie tecniche poligrafiche.

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LA CORTE DELLA MINIERA
Via della Miniera, 74
Loc. Miniera
61029 Urbino (PU)
Tel/fax: 0722345322 – 0722347002
info@cortedellaminiera.it
www.cortedellaminiera.it

Type Video: Typography School London College of Printing

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Un interessante video di Omair dove David Dabner veterano graphic & typographic designer docente presso il London College of Printing e autore di diversi libri sulla tipografia racconta e critica partendo dai principi del design grafico, alla stampa creativa attraverso il letterpress e il computer.

Così dice David Dabner nel video sopra:

“Computers make students sloppy. It makes for sloppy thinking.
Good typographers can think. If you can’t think you produce a lot of nonsense.
Because in thinking you can delete the non-essential.”

David Dabner

(“I computer rendono gli allievi distratti. Porta a trascurare di pensare. I buoni tipografi possono pensare. Se non potete pensare producete molte assurdità. Poiché nel pensare potete cancellare il non indispensabile.“)

Rallentando e cancellando il non indispensabile
“… Probabilmente il vantaggio più grande nell’imparare ad usare il letterpress è semplicemente la forza di saper rallentare. Quando rallentate potete pensare. Quando rallentate, a volte – non sempre, ma spesso – ottenete i risultati più astuti …”

Questo non significa che i computer necessariamente rendono gli allievi “sloppy” – i computer sono attrezzi utili dopo tutto – ma non si può negare che un pc con tutte le sue grandi possibilità può effettivamente rendere gli utenti sciatti se non hanno basi culturali circa le regole ed i motivi dell’arte.

È un ottima cosa rompere le regole – ma in primo luogo bisogna conoscerle come pure le tradizioni e le convenzioni. Il computer è meraviglioso, ma poichè Dabner dice, “… non gli insegnerà a pensare …” fa riflettere. Dabner qui dice che non c’è niente di male ad utilizzare il computer ma spesso è migliore l’utilizzo analogo di una matita e una carta. Dabner dice: “… Smettono di usare la matita e la carta ed elaborano direttamente sul computer, che in sé è giusto, ma penso che il computer inibisca la loro capacità di svilupparsi …”. Quello è: “… Dovete imparare lo strumento in primo luogo …”.

Molti studenti e giovani designer nati nell’era informatica criticheranno ciò che dice Dabner, ma io concordo pienamente con lui.

Gli stampatori del 1500 a Milano: Michele Tini & Giacomo Piccaglia stampatori del Seminario di Milano al tempo di San Carlo Borromeo

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Il frontespizio del libro “Dialogo en laude de las mugeres”
Il frontespizio del libro “Dialogo en laude de las mugeres”

Nella seconda metà del 1500 anche il Seminario di Milano aveva una sua tipografia fortemente voluta dal suo Cardinale Carlo Borromeo. Da antichi documenti come il “Libro Mastro d’Entrata 1579 – 1585” registro amministrativo del Seminario, vengono citate varie informazioni riguardanti la storia della tipografia seminariale. Le prime notizie sono del 1579 quando viene segnata, su tale libro mastro, l’uscita di ben 2.521 lire, 6 soldi e 9 denari, cifra a quel tempo elevata « … per estinguere il debito della casa comprata da mons. Gio. Batta Osio per la stampa … ». Dopo altri sette fogli è trascritta l’uscita di 248 lire che corrispondono al « … pretio de risme n. 75 carta da stampa datta per il Seminario da 13 gennaio sin al di d’ogi come più chiaro appare alla partita della detta stamparia … ». Nel retro di questo foglio ecco apparire il nome di «mons. Michel Tini stampatore del Venerabile Seminario», il quale « … de dar a di primo gennaio 1579, 708 lire sono per tanti si fano boni alla mensa Archiepiscopale; qual gli ha fatto rimetere in Venetia per lui per comprar li caratteri per la stampa de qual suma se ne è datto credito a detta mensa in libro bianco … ». Dando un senso compiuto a queste affermazioni: lo stampatore Tini doveva rifondere le casse arcivescovili del prestito ottenuto per acquistare i caratteri a stampa fatti arrivare da Venezia, all’epoca uno dei centri più importanti dell’arte della stampa.

Ma chi era Michele Tini (che compare nelle sue edizioni anche come «Michael Thinus», «Michael Tinus», «Michele Tino» o «Michel Tini stampatore del seminario»)? Un monsignore originario di Sabbio Chiese presso Brescia che si dedicherà alla nuova arte della tipografia a Milano dal 1568 al 1594, figlio di Giovanni e fratello di Battista e Comino.

Agli studiosi della storia tipografica italiana, il Tini è conosciuto per le sue edizioni religiose stampate in rosso e nero firmate come «Typographus Seminari» e con il motto «Ad signum Famae». Lavorò sia da solo che in società con Giacomo Piccaglia nel 1580 firmando l’edizioni stampate come: «Michele Tini & Giacomo Piccaia stampatori del Seminario», e stampò spesso per i cugini gli altri Tini i fratelli Francesco, Simone e Pietro quest’ultimo editore e libraio attivo a Milano (con Michele e nella tipografia dei Da Ponte), Piacenza (dove utilizzò la tipografia di Giovanni Bazachi) e Venezia (di quelle di Giovanni Antonio Bertano, Girolamo Polo, Giacomo Vincenzi e Riccardo Amadino). Michele aveva bottega all’insegna della Fama. In un’edizione del 1584 compare il marchio della sirena e la leggenda: «Si vendono alla libreria de la Serena», gestita da Michele insieme con Francesco e Simone.

Giacomo Piccaglia fu attivo come tipografo prima a Venezia dal 1569 al 1570 e poi a Milano dal 1579 al 1590; lavorò da solo e in società oltre con Michele Tini, anche con Pacifico da Ponte e Graziadio Ferioli (Feriolo) a Milano e con Giovanni Maria Leni a Venezia. Non si sa se avesse rapporti di parentela con Giovanni Picaia, attivo a Venezia nel 1538.

Ma tornando alla tipografia del Seminario milanese è noto che essa ha un proprio edificio (la casa comprata da mons. G. B. Osio), un proprio titolare (Michele Tini) e con gli elementi indispensabili per una tale attività, ossia lettere mobili per la stampa e carta su cui stampare. Dal già citato “Libro Mastro”, inoltre, ci si può istruire sulla produzione di questa tipografia. Dai torchi uscivano calendari liturgici, spiegazioni per la S. Messa, testi con le litanie, il memoriale che San Carlo Borromeo scrisse ai milanesi dopo la peste del 1576-77, l’Ufficio della Madonna, il testo del Concilio Provinciale IV e V, le prediche in più volumi di un autore allora molto letto, il domenicano Ludovico Granata.

Accanto alla produzione, c’era un’attività di commercio. Lo stampatore Tini non lavorava solo per il Seminario, ma teneva parte del prodotto, per poi rivenderlo.

Alcuni librai di Milano, come i fratelli Besozzi e Gerolamo Giussani, acquistavano all’ingrosso per poi rivendere il prodotto a privati.

La produzione della tipografia seminariale però durò poco tempo in quanto, come risulta da diversi documenti, risultava come voce passiva per l’economia del Seminario.

Alla situazione di deficit si aggiunse quanto maturò nei giorni di Carnevale, sempre del 1580. Allora, il Cardinale Carlo Borromeo inflisse la scomunica a tutti coloro che avevano prolungato il Carnevale sino alla prima domenica di Quaresima, disturbando le funzioni religiose del Duomo. Poiché le cedole di scomunica erano state stampate da Michele Tini, costui e i suoi aiutanti vennero incarcerati e i locali della tipografia furono tenuti sotto sequestro per i conflitti che intercorsero tra l’Arcivescovo e le autorità governative. Le trattative che seguirono furono lunghe e snervanti, scoraggiando del tutto i responsabili del Seminario a mantenere la tipografia. Così venne venduta in blocco allo stesso stampatore Michele Tini, che continuò l’attività per altri 20-30 anni.

Nella sua brevità, la storia della tipografia del Seminario è significativa in quanto segnala la sensibilità del Cardinale Borromeo nell’utilizzo e controllo dei mezzi di comunicazione.

Fonte: La Fiaccola 01/2008 – Don Umbero Dell’Orto