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Virgolette, queste sconosciute

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Quando si compone un testo è importante il corretto uso delle virgolette, queste cambiano anche secondo le lingue.

virgolette

Vediamo ora i vari tipi e i loro utilizzi: Le virgolette semplici o apici si adoperano più raramente soprattutto
per indicare il significato di una parola o di una frase; per i versi quando sono incorporati nel brano in cui ricorre la citazione, i versi vanno inoltre composti in corsivo. In generale, sulla stampa la scelta delle virgolette è fortemente determinata dalle singole regole editoriali.
Le virgolette alte si dividono in due denominazioni:

“inglesi utilizzate per le lingue inglese, italiano, francese, portoghese e spagnol0;

”tedesche“ utilizzate per le lingue tedesco, lettone, lituano, ceko, slovacco, sloveno, croato, …

Nelle lingue latine le virgolette puntano verso l’esterno (“inglesi – spagnole”), nel tedesco verso l’interno („tedesco“). Sono utilizzate per indicare una o più parole che formano una sola cosa, o sono prese da altri libri.
Possono essere sostituite spesso con il corsivo, che si usa per parole straniere o dialettali usate in un testo italiano e in citazioni brevi. Nelle citazioni tra virgolette la punteggiatura sarà posta dentro le virgolette quando la citazione inizia con la maiuscola; sarà invece posta dopo quando, nel periodo già avviato, la citazione ha inizio con la maiuscola oppure quando i brani citati sono sintatticamente fusi nel discorso.
Possono anche essere usate per prendere le distanze dalle parole che si stanno usando (e nel parlato si dice infatti “tra virgolette”).

Le virgolette basse o sergente dette anche italiane o francesi possono essere singole e doppie, in francese e italiano sono puntate verso l’esterno « … » e ‹ … › , mentre in tedesco sono puntate in modo opposto » … « e › … ‹. Le virgolette basse singole non devono essere confuse con le parentesi ad angolo né con i segni aritmetici di diseguaglianza.
L’utilizzo delle virgolette basse è molteplice e si devono adoperare:
– nelle citazioni nel testo (brani o parole di qualsiasi lingua o dialetto che abbiano valore di citazione);
– nei titoli di giornali, riviste, libri, collezioni, enciclopedie, raccolte, album, ecc.;
– nei saggi ed altre opere che facciano parte di un testo il cui titolo è già citato in corsivo;
– nei nomi da distinguere (ma solo se strettamente necessario, meglio l’utilizzo delle virgolette alte o del corsivo);
– nei termini tecnici (a seconda della trattazione dell’opera) di qualsiasi lingua o dialetto.
È invece superfluo nell’utilizzo dei discorsi diretti dove è preferibile l’uso del “trattino lungo”

Per ottenere le virgolette tipografiche su Mac bisogna selezionare in sequenza i seguenti tasti:

Alt+2 = “

Alt+Shift +2 = ”

Alt+q = „

Alt+3 = ‘

Alt+Shift +3 = ’ (serve anche per l’apostrofo tipografico)

Alt+1 = «

Alt+Shift+1 = »

Su Windows bisogna usare il tastierino numerico, sui notebook il tasto Fn:

Alt+0147 = “

Alt+0148 = ”

Alt+0132 = „

Alt+0145 = ‘

Alt+0146 = ’ (serve anche per l’apostrofo tipografico)

Alt+0171 = «

Alt+0187 = »

Scritto da Giò

dicembre 10th, 2012 at 2:23

TypeDesign4: “Meridian” di Anna Morena

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Proseguono i post di presentazione dei lavori della quarta edizione del Corso di alta formazione in Type Design tenuto presso il Consorzio Poli.design di Milano tra settembre e ottobre 2009.

Il quarto lavoro, qui presentato, è il “Meridian” di Anna Morena di Roma.

Ecco come Anna illustra il suo progetto: “Meridian” è il nome della font creata per un’interfaccia analogica di un orologio da parete comune, che presenta anche un sistema a RID per il calendario ad esso connesso. Il nome, che dall’inglese vuol dire “meridiano”, si riferisce a “mezzogiorno”, ossia il termine tipicamente usato in Italia per indicare le ore 12:00 che coincidono con la metà di una giornata.

Il carattere è stato progettato per gradi: prima sono stati pensati i numeri, parte principale di un’interfaccia di un orologio; poi le lettere maiuscole, poiché l’orologio presenta il calendario; e infine sono state realizzate solo alcune delle lettere minuscole, poiché non integrabili nel progetto, ma solo al fine di rendere più completo l’alfabeto.

La font nasce dall’idea di fondere il carattere lineare bastoni, tipicamente contemporaneo, a un carattere con caratteristiche più classiche. Ciò è evidente dalla presenza di “grazie fittizie” in tutto l’alfabeto. Nei numeri, inoltre, creati in versione maiuscola, si nota la presenza di ascendenti e discendenti, lievemente accennate, che richiamano al corsivo, frequentemente usato nella scrittura classica.

Il limite progettuale di questa font, è quello di essere visibile e rientrare all’interno del riquadro per il calendario, per cui deve presentare le seguenti caratteristiche: condensato, lineare, ampio spazio bianco e contrasto minimo tra le aste. Non è, però, un monospaziato, poiché, nel caso di un calendario, le parole sono già composte e ciascuna lettera non ha una valenza a sé, ma già è pensata per essere integrata con la parola nel riquadro.

“Equa” la font di Mauro Zennaro per la CAE di Roma

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Proprio un paio di post fa trattavo di un carattere abbinato all’immagine istituzionale del Governo olandese, un gran lavoro per un committente storicamente consapevole e culturalmente attento alla comunicazione visiva ed ai suoi interpreti.

Però qui in Italia, purtroppo, è sempre molto mortificante il comportamento delle istituzioni a qualsiasi livello. Un ultimo esempio è il lavoro progettuale grafico di Mario Fois e Mario Rullo, dello Studio Vertigo di Roma, per la CAE – Città dell’Altra Economia promossa dal Comune di Roma.

La Città dell’Altra Economia è uno dei primi spazi in Europa interamente dedicato a quelle pratiche economiche che si caratterizzano per l’utilizzo di processi a basso impatto ambientale, che garantiscono un’equa distribuzione del valore, che non perseguono il profitto e la crescita a ogni costo e che mettono al centro le persone e l’ambiente. 3.500 metri quadri di esposizione, vendita, eventi e incontri nel cuore di Roma, all’interno dell’antico Mattatoio di Testaccio, appositamente restaurato secondo principi di bioarchitettura. La Città nasce come luogo di promozione di tutta l’altra economia romana, offrendo a tutte le imprese del settore spazi espositivi, luoghi di incontro, formazione, ricerca e sviluppo.

Tale lavoro ha avuto un percorso tormentato fin dall’inizio, nonostante i loro sforzi di coinvolgere tutti i protagonisti del progetto nel percorso progettuale. Ma tra responsabili del Comune “spariti” in corso d’opera, architetti diffidenti e politici che si svegliano all’ultimo per poter fare l’inaugurazione è stato un percorso ad ostacoli, realizzato solo in piccola parte.

Per questo progetto grafico è stato contattato, dallo Studio Vertigo, Mauro Zennaro per sviluppare un carattere da abbinare al progetto puntando inizialmente su un “non logo”, l’acronimo CAE su tasselli che ricordassero i colori della bandiera della pace e su un carattere che fosse riferito alla storia del commercio tra i popoli.

Mauro disegnò «Equa» (attualmente è ancora in versione ‘beta’) uno stencil adatto sia per un uso digitale che manuale con alcune particolarità tra le quali i “tagli” posti sempre in diagonale e non centrali, la ‘A’ maiuscola che “non poggia” e ha un terminale in alto insolito (come la ‘M’), i puntini che sono dei rombi, le minuscole con “l’occhio” piuttosto grande e le frecce “spezzate”; inoltre, per l’adattamento della scrittà sulle vetrate che sommortano l’edificio, e che di notte sono retroilluminate, con tutti i problemi di frequenza delle giunture, ha realizzato la “A” di CITTÀ in cui l’accento è integrato con la lettera.

Curiosi sono anche i “tagli” ai “becchi” della ‘C’, ‘G’ e al simbolo dell’euro ‘€’ che ne marcano la forma.

A mio parere ho dei dubbi sul disegno della ‘g’ minuscola con l’occhiello superiore troppo aperto che fa sembrare la lettera un ‘3’ rovesciato.

Alcuni manifesti per linaugurazione composti con “Equa”
Alcuni manifesti per l’inaugurazione composti con “Equa”

Questo carattere doveva funzionare sia su elementi segnaletici ed architettonici che su materiali promozionali (manifesti, pieghevoli, cartoline, ecc.), comunicando anche una certa allegria attraverso immagini e colori “materici” ma mantenendo centrale la funzione del testo.

Doveva anche essere offerto “gratuito” dal sito della CAE e servire per piccole autoproduzioni dei negozianti e addetti della “Città” (cosa che in parte è stata fatta).

Ma se già la situazione era difficile con la precedente giunta, con questa sembra probabile che tutto abbia una triste fine …

Links:

Vertigo

Scriptoria di Mauro Zennaro


C’è occhio e “occhio”

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Abbiamo già visto in un precedente post della categoria “tipometria” la definizione di corpo del carattere e le unità di misura tipografiche.

Però il corpo non è un buon indicatore delle dimensioni del font, ma solo del suo ingombro verticale. Non si direbbe, ma se osservate, le due composizioni di testo sottostanti hanno lo stesso corpo. Quello a sinistra, il «Bernhard Modern», ha infatti le spalle – i tratti ascendenti molto lunghi, e l’occhio “medio” piccolo; quello a destra, il «News Gothic», presenta un occhio “medio” grande.

Anche nell’esempio sottostante tutti i caratteri sono composti con lo stesso corpo, ma alcuni sembrano composti in corpo superiore, altri in corpo inferiore.

Quindi l’occhio del carattere è tutto ciò che si vede della lettera quando essa è stampata, escluse le eventuali accentazioni delle maiuscole. L’occhio è quindi l’altezza e larghezza effettiva della lettera e si divide in tre parti: occhio medio, che viene riferito all’altezza della “x” minuscola x-height; l’occhio superiore che corrisponde alle aste ascendenti delle minuscole – si prende come riferimento la “l”; e l’occhio inferiore che corrisponde alle aste discendenti delle minuscole si prende come riferimento la “p” e la “g” a seconda dei caratteri.

L’occhio medio di una lettera non mantiene sempre le medesime dimensioni e proporzioni in tutti gli alfabeti dello stesso corpo. A parità di corpo, i caratteri con occhio medio grande sembrano molto più grandi di quelli con occhio medio piccolo. Se si desidera ridurre il corpo di un testo per avere più spazio nella pagina, basta scegliere un carattere con occhio medio grande; le lettere che compongono le parole saranno più leggibili. Questa dimensione, o proporzione, è detta “allineamenti dell’occhio medio” ed è definita come l’altezza relativa di una “x” minuscola in rapporto all’altezza della corrispondente maiuscola.

I caratteri con occhio medio – piccolo hanno occhielli più piccoli e aste ascendenti e discendenti più lunghe; vengono di solito usati in testi compatti con interlineatura uguale al corpo o, in alcuni rari casi, con sterlineatura (solo con giustezze piccole), e permettono di contenere il numero delle pagine o la lunghezza di un testo in colonna. I caratteri: «Bembo», «Bodoni», «Baskerville», «Bernhard Modern», «Chaparral», «Garamond», «Jenson», «Perpetua» sono un esempio di caratteri con occhio piccolo, ma tra questi il «Bodoni», anche se non ha l’occhio più piccolo del «Garamond» o dello «Jenson», risulta essere un carattere molto elegante ma di difficile lettura per testi lunghi, si presta molto bene per i “frontespizi”, i “titoli”, quindi con corpi grandi. Lo stesso «Bodoni» dà alla pagina una sensazione di maggiore vuoto, mentre un carattere con occhio medio più grande di esso conferisce una sensazione di maggior compattezza, risultando più estetico in molte situazioni compositive.

Nei caratteri con occhio medio – medio le proporzioni fra le minuscole e i tratti ascendenti sono omogenee e questo fa sì che siano adatti a una vasta gamma di applicazioni. Esempi di caratteri con occhio medio sono: «Futura», «Avenir», «Clarendon», «Times», «Gill Sans», «Optima», «Minion», «Palatino», «Serifa», «GFT Venexiano», «FF Scala», «Bell Gothic» e «Souvenir».

I caratteri con occhio medio – grande sono quelli che offrono il vantaggio della maggiore leggibilità e sono usati dove non esistano problemi di spazio o di economia. Sono quindi indicati per comporre testi per la lettura da parte dei bambini, per i testi scolastici e per i manifesti dove è più importante la comunicazione verbale su quella visiva. I caratteri: «American Typewriter», «New Century Schoolbook», «Antique Olive», «Avant Garde», «Franklin Gothic», «Helvetica», «Letter Gothic», «Myriad», «News Gothic», «Rockwell», «Univers» e «Tiepolo» sono esempi di caratteri con occhio grande.

Testo in portoghese

Corpo del carattere

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La dimensione del carattere tipografico si misura in senso verticale e si definisce corpo.
Con riferimento ai vecchi caratteri di fonderia è la misura dell’altezza della faccia del blocchetto in lega di piombo – antimonio sulla quale è fusa in rilievo la forma ribaltata del carattere, questa altezza è compresa quindi fra la spalla superiore e la spalla inferiore. Questa distanza è, sempre tipograficamente, la dimensione costante di tutto l’alfabeto.
L’altezza del corpo è tradizionalmente misurata in punti, corrispondenti a circa 1 / 72 di pollice (In tipografia digitale, il punto è stato arrotondato esattamente a 1 / 72 di pollice americano. Nei sistemi precedenti, proposti da Pierre Fournier le Jeune,American Type Founder’s Association e da Firmin Didot, il punto variava da 0,349 millimetri, 0,3515 millimetri e di 0,376 millimetri, rispettivamente). Altre misure tipografiche, ormai poco utilizzati, sono Cicero e Pica, entrambi con il 12 punti. Nella tipografia digitale, il corpo è una misura relativa che può essere scalata a qualsiasi dimensione.

Il corpo è suddiviso in due spazi: l’occhio del carattere, che è compreso tra la linea inferiore, corrispondente alla massima discendente della lettera minuscola (g) o della (p), a seconda del tipo di carattere, alla linea superiore che corrisponde alla massima ascendente della lettera minuscola (l) e l’area delle accentazioni. dove possone essere presenti gli accenti, le dieresi e i segni diacritici per le lettere maiuscole.
Lo stesso occhio comprende la linea di base (baseline) la linea immaginaria della base della parte mediana sulla quale si appoggiano tutte le lettere di una riga di testo e dalla linea dell’altezza delle maiuscole, che è sempre inferiore alla massima altezza dell’ascendente della minuscola.
Sopra la linea di base si trova la x-height (altezza della x), corrispondente alla distanza tra la linea di base e la parte superiore delle lettere minuscole, senza ascendenti e del maiuscoletto e la linea delle ascendenti, che segna l’altezza delle lettere minuscole con tratti ascendenti (come la lettera ‘b’), e in alcuni casi, le lettere maiuscole. No caso de fontes de texto mais tradicionais, a altura das maiúsculas é um pouco menor do que a das minúsculas com ascendentes, e é marcada pela linha das capitulares . Nei caratteri di testo più tradizionali, l’altezza delle maiuscole è leggermente più basso rispetto alla massima ascendente di una minuscola. La linea che determina la x-height può essere chiamata linea mediana.
Quindi per misurare correttamente il corpo, si deve calcolare la distanza che intercorre tra l’ipotetico accento posto sopra alle lettere maiuscole; fino all’estremità inferiore dell’ascendente della lettera minuscola.

Testo in portoghese

La “esselonga” non è un supermercato

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Fino ai primi anni dell’800 nelle parole scritte o stampate venivano utilizzate due tipi di esse minuscole. La prima era la “esse corta” o “esse rotonda” che è quella che utilizziamo attualmente, derivante dal disegno della S maiuscola del lapidario romano e che allora trovava utilizzo principalmente a fine parola; la seconda, chiamata “esselonga” che nel disegno assomiglia ad una ‘f’ senza il trattino orizzontale d’incrocio a destra, trovava utilizzo singolarmente o in legature in tutte le altre posizioni nelle parole.
In inglese la “esselonga” viene chiamata long, medial o descending s (ſ).
La “esselonga” deriva dalle forme amanuensi delle prime scritture corsive romane dove si utilizzavano solamente lettere maiuscole per arrivare, passando dal “semionciale”, alle forme uniformate della scrittura operata da Carlo Magno e la comparsa della “carolina” o “minuscola carolingia”.
Gli scritti in “minuscola carolingia” del nono secolo usavano soltanto la “esselonga”, ma nel “tardo carolingio” e nelle prime scritture del “Gotico”, dal dodicesimo secolo in poi, è stata adottata la consuetudine di utilizzare la “esselonga” all’inizio e nell’interno delle parole e la “esse corta” alla fine di parola.

Con l’avvento della stampa anche i primi prototipografi seguirono la consuetudine di utilizzo dei due tipi di esse nella forma gotica. Anche l’alfabeto greco usa due lettere per la sigma, corrispondente alla latina ‘s’, la normale ‘σ’ e la forma speciale ‘ς’ in finale di parola, cosa che potrebbe avere aiutato la creazione di forme speciali della ‘s’; infatti durante il Rinascimento una parte significativa della classe intellettuale europea aveva familiarità con il greco. Alcuni stampatori che hanno cominciato ad usare i caratteri influenzati dalle scritture umanistiche (Sweynheym e Pannartz a Subiaco nel 1465, per esempio ed Ulric Gering a Parigi nel 1470) hanno utilizzato i due tipi di “s“ in modo differente per poi ritornare all’uso ‘gotico’ della “esselonga” iniziale e mediale e della “esse corta” finale e questa si è transformata in nella regola quasi universale nella stampa fino alla conclusione del diciottesimo secolo quando l’utilizzo della s finale si generalizzò poco a poco, finché giunse a sostituire completamente la “esselonga”. Il testo della Costituzione degli Stati Uniti d’America, per esempio, impiega la “esselonga” unicamente lì dove la “s” è doppia, come nelle parole Congress, Class, Business …
La s lunga è rimasta nel francese e in inglese fino alla Rivoluzione Industriale.


Nel minuscolo corsivo della esselonga il disegno della lettera non presenta nessun trattino orizzontale d’incrocio ed ha invece un tratto discendente pendente verso sinistra non possibile nelle altre forme di carattere senza crenatura.
Poiché la “esselonga” era crenata e coincideva con il disegno dei caratteri adiacenti, la “esse corta”, a volte, è stata usata come espediente davanti alle lettere alte con cui la forma della esselunga si sarebbe scontrata.
Speciali legature sono stati fatte per molte delle combinazioni, quali as (per l’inglese da stampa) sb, sh, si, sk, sl, ss, st, ssi, ssl.

Come gli stampatori anche chi redige gli scritti umanistici, nella fine del quindicesimo secolo, ritornano generalmente ad utilizzare per firmare con le iniziali e la esselonga mediale e la essecorta finale. Ma i produttori della forma corsiva dello scritto e delle mani che si sono sviluppati da esso (chancery corsivo e le mani ‘italiane ‘) successive spesso non hanno fatto uso affatto della esselonga e distesa e dell’uso contradditorio dei calligrafi è in maniera sconvolgente differenti dalla pratica rigida osservata dagli stampatori. Gli esempi dell’utilizzo della essecorta iniziale e mediale possono essere trovati verso la conclusione del quindicesimo secolo nel lavoro di Bartolomeo Sanvito e forse, una figura significativa in questo contesto come in molti altri, è il famoso calligrafo di sedicesimo-secolo Giovan Francesco Cresci a Roma che, diverso dei produttori più in anticipo del corsiva di cancellaresca, compreso il suo arco-rivale Giovanni Battista Palatino, ha reso piccolo ad uso della s lunga in suoi propri manoscritti e libri di scrittura. Il suo nuovo stile, adottato dai suoi allievi e successori, ha cambiato il tipo di scrittura a mano occidentale.
Dal quindicesimo alla fine del diciottesimo secolo ci sono molto poche eccezioni in testi stampati alla regola che la s iniziale e mediale era lunga e la s finale era corta. Una delle eccezioni è visibile in una serie di stampati a Vicenza nel 1520 per il riformatore linguistico italiano Giangiorgio Trissino, in cui la s lunga e corta è usata per distinguere espressamente e la consonante. Pierre Moreau, che ha stampato nel 1640, a Parigi, con i tipi ha basato su una versione corrente della mano corsiva italiana, ha seguito la pratica dei calligrafi contemporanei ed ha usato soltanto la s corta. La s lunga non è stata usata in Joseph Ames, le antichità tipografiche (Londra, 1749), né nel Virgil di 1758 ha stampato da Robert e da Andrew Foulis di Glasgow e da alcuni dei loro altri titoli. Gli esempi di stampa senza s lunga inoltre sono stati ritrovati in Spagna durante la fine del diciottesimo secolo, l’esempio più iniziale finora identificato essendo Tomas Lopez, Descripción de la Provincia de Madrid (Madrid: Joaquín Ibarra, 1763). Altri esempi includono Andres Xímenez, del di Descripción… Escorial (Madrid: Antonio Marín, 1764), il tipo esemplare di Antonio Espinosa (Madrid, 1771) e Sallust del Ibarra (Madrid, 1772). Veda D. B. Updike, i tipi di stampa, secondo ed. (1937), figs. 233-44. Non ci sembra essere spiegazione stampata da c’è ne di questi stampatori perchè hanno fatto questo, ma sembra probabilmente che questi esempi di diciottesimo-secolo in Gran-Bretagna ed in Spagna rappresentano l’inizio di una sommossa contro l’uso irrazionale di due forme differenti per una lettera, che ha significato che così come la s lunga in se che lo stampatore ha dovuto trovare la stanza nell’argomento per il suo numeroso ligatured le specie così come i cinque inevitabili per la f.
Lo scarto generale della s lunga dagli stampatori è probabilmente dovuto François-Ambroise Didot, Parigi, che in circa 1781 inizia il taglio di nuovo stile di tipo che più successivamente è stato conosciuto in inglese come ‘faccia moderna ‘. La s lunga non è stata inclusa nei nuovi tipi e l’esempio del Didot è stato seguito rapidamente da altri stampatori sotto la sua influenza. Uno di questi era John Bell, stampatore e typefounder a Londra, a quale il movimento per il relativo disuse è attribuito a volte erroneamente. Bell non ha usato la s lunga in suo giornale il mondo, in primo luogo pubblicato il 1 gennaio 1787, né nel testo dell’esemplare di nuovi tipi tagli per la sua Lettera-Fonderia britannica da Richard Austin (1788), anche se la sinossi del fount indica che la s lunga e le relative combinazioni sono state fatte per esso. Bell aveva una conoscenza di con i libri francesi contemporanei, che ha importato in Inghilterra ed aveva usato un piccolo formato di uno dei tipi tagliati da Firmin, figlio di François-Ambroise Didot. ‘nel Prolegomena ‘al suo Shakspeare (1788) Belhi hanno spiegato che i suoi oggetti nell’omissione della s lunga erano dare le linee ‘che l’effetto di essere più si apre ‘(uno scopo di molti stampatori del diciottesimo secolo tardo, quando i testi erano comunemente al piombo) ed evitare la confusione della s lunga con la f.
Quando i fonditori di caratteri in Gran-Bretagna introducendo la “modernità“ dei tipi durante la decade dal 1795 al 1805, la esselonga spesso non è stata fornita nelle polize dei nuovi caratteri costringendo gli stampatori a sostituirla con la presente essecorta portando rapidamente alla scomparsa dell’utilizzo. È stata fatta rivivere per un certo tempo per il relativo sapore antiquariato dagli stampatori come Charles Whittingham e Louis Perrin quando utilizzavano i vecchi caratteri e sono stati usati di nuovo per la stampa verso la metà del diciannovesimo secolo, ma la esselonga è completamente sparita nella stampa giornaliera con i tipi romani mentre sono ancora usate quando il tedesco è composto correttamente nei tipi gotici come Schwabacher e Fraktur.

Nella lingua tedesca, ad esclusione della Svizzera tedesca dove da molto tempo è stata abolito l’uso, e tuttora utilizzato il glifo della legatura “ß”, conosciuto con il nome di Eszett (o Esszett, Eszet, Esszet) o scharfes S se considerato a sé stante, poiché essenzialmente è basato sulla legatura “sz”. L’utilizzo dipende anche dal tipo di vocale. È usato dopo una vocale lunga, come in Straße (via), ma non dopo una corta, come in Gasse (vicolo).
Inoltre poiché la ß non può essere divisa, non si può sillabare, mentre le ss è diviso fra le sillabe (Gas-se). Questa lettera ha una particolarità tra gli alfabeti occidentali dal momento che non appare mai in posizione iniziale (tranne in rarissimi casi, come in alcune trascrizioni fonetiche di qualche dizionario tedesco dove indica il fonema /s/, opposto a che indica /z/).
I cambiamenti recenti alla ortografia tedesca hanno modificato le regole ed hanno ridotto le occasioni per il relativo uso sostituendo la ß con l’uso semplice della doppia s. La lettera minuscola latina S tagliente, come ß è conosciuta, non solo ha relativo posto fra i glyphs della serie di caratteri di ASCII (dal 1986) e di Unicode (U+00DF), ma è accessibile sui telefoni mobili.

Nella lingua francese la “esselonga” seguita da un’altra s poteva essere scritta in più modi, secondo il gusto del tipografo (e talvolta senza grande coerenza), come due “esselonga” o con una “esselonga” seguita da una “esse rotonda”, il che può portare alla legatura ß che non è stata, in passato, limitata al tedesco.
Attualmente, i lettori o gli editori non preparati confondono frequentemente la “esselonga” con una f (nello stesso nodo in cui gli anglofoni confondono la grafia moderna di þ con una y tra cui non vi è nessun rapporto). La confusione è sovente dovuta alla presenza del trattino orizzontale. I matematici impiegano un ultimo avatar, della s lunga come simbolo dell’integrale: ∫. Esiste nell’alfabeto fonetico internazionale un’altra variazione della s lunga chiamata esh ʃ, che serve a indicare la consonante fricativa postalveolare sorda che si trova all’interno della parola pesce (indica il digramma italiano sc). La si ritrova attualmente nelle ortografie recenti di molte lingue africane (come il dagbani del Ghana, il songhoy e il tamasheq del Mali o anche il pandikeri dell’Uganda). La forma maiuscola non è una S ma una specie di sigma maiuscola greca, Ʃ oppure, nell’alfabeto internazionale di Niamey una versione ingrandita della minuscola, usata di preferenza per le lingue africane.

tratto da testi di James Mosley e di Giangiorgio Fuga