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A Lodi un “Museo della stampa” tutto da scoprire

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Nel centro storico di Lodi è stato realizzato nel giugno 2008 il Museo della stampa e stampa d’arte nato dalla grande passione dell’Ing. Andrea Schiavi per questa arte e per la sua importante storia. Il Museo occupa ben duemila metri quadrati di superficie al piano terra di quella che era, fino agli anni Ottanta dello scorso secolo, la ex tipografia Lodigraf.
La collezione è tra le più importanti di Europa e con la Tipoteca Italiana di Cornuda, specializzata però sui caratteri tipografici, la più completa d’Italia. Ne fanno parte macchine, attrezzature e cimeli di diverse epoche, che illustrano tutti i processi di stampa: dalla xilografia alla calcografia, dalla serigrafia alla tipografia, dalla litografia alla stampa offset, dalla composizione manuale a quella meccanica in piombo, fino alla fotocomposizione e al computer. Un Museo vivo non solo indirizzato alle Scuole ma a tutti i cultori della materia e curiosi di questa storica arte.

Si entra dalla Sala Legatoria una suggestiva galleria, alle cui pareti sono appesi grandi pannelli provenienti da un’antica legatoria, sono disposte numerose macchine per tagliare, piegare, cucire i fogli di carta stampati, nonché per completare il prodotto-libro, con finiture varie, sulla copertina o sul dorso. Si tratta di presse doratrici, macchine cucitrici e cordonatrici, tutte perfettamente funzionanti, prodotte dalle più prestigiose fabbriche europee nell’Ottocento e nel primo Novecento. A documentare le diverse operazione delle donne, addette per tradizione ai lavori di legatoria, il tipico bancone da legatore dotato di tutta l’attrezzatura manuale dell’antica Legatoria Torriani, attiva nell’Ottocento a Cologno Monzese. Molto curioso è il sistema presentato per la stampa degli spartiti musicali dove prima vengono incisi i pentagrammi con una specie di rastrellino e successivamente inserite le note incise direttamente dai punzoni.

La galleria successiva è la Sala Arte dove si può ammirare una ricca selezione di torchi calcografici e litografici di notevole interesse storico costruiti dal secolo XVI al secolo XIX, nonché alcune lastre in rame incise come matrici calcografiche intorno al 1850. Pregevole è anche la raccolta di pietre litografiche di grande dimensione proveniente dalla Casa Editrice Vallardi di Milano, eseguite tra il 1870 e il 1930. Rara e originale è la serie di cromolitografie di alcune stazioni della Via Crucis, datate 1875. Alle pareti una rassegna di prove di stampa a tema unico (una conchiglia), realizzate da noti artisti lodigiani contemporanei per documentare le diverse maniere della calcografia, oltre ad altre tecniche come la xilografia, la serigrafia e la linoleografia.

Il terzo grande spazio che si visita è la Sala della Stampa Tipografica dove tra le centinaia di reperti storici riportati all’antico splendore, sono collocati numerosi torchi tipografici in ghisa di produzione europea e americana dei secoli XIX e XX.
Nella stessa sala si trovano le prime stampatrici, dalle più semplici manuali da tavolo, alle più complesse platine e piano cilindriche, a funzionamento manuale o elettrico.

In fondo alla sala una vera e propria fonderia di caratteri in piombo con la presenza di macchine Linotype e Monotype perfettamente funzionanti per la fusione e composizione meccanica che si completano con la compositoria manuale con la raccolta di numerose polizze di caratteri tipografici nella maggior parte italiani conservate in antiche cassettiere, con punzoni, matrici e caratteri in legno.

Arricchiscono la preziosa collezione un impianto completo ad uso didattico per la fabbricazione della carta, dalla cellulosa alla filigrana, i macchinari per la stampa di carte valori, una collezioni di vecchie macchine dattilografiche e di sistema per la stampa in Braille, nonché un significativo impianto completo per la stampa a smalto in rilievo (rilievografia) con due meravigliose antiche presse capaci di stampare a più colori.

Telaio per la produzione di filigrane sulla carta
Telaio per la produzione di filigrane sulla carta

Nell’ultimo spazio museale, la Sala dei Torchi e delle Presse vi è una ricca ed elegante selezione di torchi ottocenteschi provenienti, in prevalenza, dalla rinomata fabbrica della famiglia Dell’Orto di Monza. In particolare si segnalano i torchi Stanhope e Albion appartenuti a Claudio Wilmant, il più famoso incisore e fonditore attivo a Lodi e Milano nell’Ottocento.
Seguono in successione altri torchi tipografici e presse di pregevole fattura; infine, al centro della sala, il gioiello del Museo: il torchio “Columbian”, inventato dall’americano George Clymer, costruito a Londra dal 1817. È l’unico esemplare custodito in Italia.

Particolare del torchio “Columbian”, inventato dallamericano George Clymer
Particolare del torchio “Columbian”, inventato dall’americano George Clymer

Aperto da martedì a sabato con visite guidate a pagamento e su appuntamento per classi, gruppi ed associazioni.

Museo della Stampa e Stampa d’arte a Lodi
via della Costa 4
Lodi
www.museostampa.org
info@museostampa.org
Tel. 0371.56011 – fax: 0371.422080

Edward Johnston: il carattere della metropolitana londinese

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Questo anno il logo della metropolitana di Londra, un classico del design grafico, ha compiuto 100 anni. Disegnato da un autore rimasto anonimo fu per la prima volta riprogettato nel 1913 da Frank Pick, che era direttore del marketing del Gruppo delle Compagnie della London Undenground. Egli commissionerà, nel 1916, a Edward Johnston il carattere lineare denominato originariamente «Underground», che fu però conosciuto con la denominazione di «Johnston’s Railway Type», e successivamente  semplicemente come «Johnston». Questo carattere era basato sulle proporzioni di un primo lapidario romano assente di grazie, e ancora oggi, seppur rimodernato con una sottile rielaborazione eseguita nel 1979 da Eiichi Kono per la Banks & Miles con il nome di «New Johnston», viene utilizzato per la segnaletica mentre il «Johnston Delf Smith» è composto dai caratteri della segnaletica storica; ambedue le font sono in vendita presso la “Transport of London”.

Ma chi era Edward Johnston? Allievo di William Morris, fu un calligrafo, tipografo e insegnante inglese che dedicò tutta la sua vita alla tipografia. Johnston è stato un membro di spicco della comunità artistica conosciuta dal 1920 come la Guild of St Joseph and St Dominic, è stato presidente della Arts and Crafts Society (1933-36), ha insegnato al Royal College of Art e si è aggiudicato il CBE nel 1939. Egli ha prodotto una vasta gamma di lavori molti dei quali calligrafici, dai testi ecclesiastici e civili a testi di poesia e le sue iscrizioni, di solito eseguite in due colori (nero e oro o nero e rosso), su pergamena. Scrisse anche dei testi sulla tipografia come il famosissimo manuale «Writing and Illuminating, and Lettering» (1906), il «Manuscript and Inscription Letters» (1909), ed il «A Book of Sample Scripts» (1914). La sua influenza come designer delle lettera e come insegnante di calligrafia è stata molto diffusa e tra i suoi allievi di spicco figura Eric Gill che si ispirerà al famoso carattere del maestro per disegnare il suo «Gill Sans».

Copertine di due dei tre libri sul lettering e la calligrafia scritti da Edward johnston.

Evoluzioni del logotipo per l’Underground di Londra

Specimen originale del «Underground» di Edward Johnston

A sinistra disegni di lettere fatte da Johnston del 1906 – A destra composizione in «Hamlet-Type»

Il «Omnibus alphabets» variabile condensata per l’utilizzo delle indicazioni di percorso degli autobus londinesi.

Lettere magnetiche del carattere «Johnston» in vendita presso il “London Transport Museum”.

Johnston non disegnò ovviamente solo il carattere per la metropolitana londinese ma anche altri, seppur meno famosi, come «Hamlet-Type» (1912-27) utilizzato per un testo sul “Hamlet”; e il romano «Imprint Antiqua» del 1912 – 1913 per la Monotype Type Drawing Office insieme a Gerard Meynell, Ernest Jackson e J. H. Mason ed è stato il primo carattere sviluppato specificatamente per la composizione meccanica.Il design è stato stanziato per il gruppo di nuove pubblicazioni sulla tipografia e stampa, opportunamente intitolato “The Imprint”Modellato sulle forme del «Caslon» di Frank Hinman Pierpont e della Monotype Corporation, «Imprint Regular» si diffuse acquistando molta popolarità, e andò a influenzare un certo numero di caratteri da testo successivi.

Dal suo «Johnston» sono stati ricavati altri caratteri, sempre per i trasporti londinesi come il «Omnibus alphabets» una variante condensata dell’originale per l’utilizzo delle indicazioni di percorso degli autobus londinesi e il «Johnston Sans bold». Inoltre, dato il grande successo dell’originale, le forme sono state “clonate”, “adattate” o digitalizzate da altre fonderie come per esempio il «ITC Johnston» versione digitalizzata progettata da David Farey per la ITC e altre versioni per la P22 come il «P22 London Underground» del 1997 e il «P22 Underground», in diverse variabili, del 2007 digitalizzati da Richard Kegler con l’introduzione delle lettere accentate non presenti nell’originale in quanto nella lingua inglese non né viene fatto uso.

Potete trovare altre informazioni sul sito della “The Edward Johnston Foundation”

6) Bodoniani – Neoclassici (Classificazione Novarese)

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Sono i caratteri classici creati da Giambattista Bodoni in Italia dal 1789, da Françoise-Ambroise Didot e suo figlio Firmin in Francia nel 1783 e da Erich Justus Walbaum in Germania nel 1810.

Essi disegnarono i più bei caratteri che siano mai stati ideati e che sono, ancora oggi, molto utlizzati.

Il primo esempio di questo stile è attribuito al francese Firmin Didot che incise misure diverse dei caratteri inventati dal padre, i «Didot», ispirandosi a quelli di Louis Luce e ne creò il corsivo, e lo utilizzò in stampa per la prima volta nel 1784.

Successivamente anche Giambattista Bodoni, fu influenzato dal Romains du Roi, con le sue grazie piatte, e dai contrasti d’asta dei caratteri del Baskerville per il quale aveva sempre provato grande ammirazione.

Il carattere Bodoniano, dai francesi chiamato Didones, è molto elegante, armonioso, risultando però di difficile lettura per la composizione di lunghi testi, e in corpi piccoli, a causa della rigidità neoclassica del disegno e dall’occhio piccolo della lettera nella maggior parte dei casi degli alfabeti di questa famiglia; sono invece molto decorativi nei corpi medi e grandi dove trovano il miglior utilizzo nella stampa di qualità come titolazioni e frontespizi di libri, pubblicità (in Italia l’uso del «Bodoni» è attualmente molto legato al design della moda e al “made in Italy” in generale).

Le forme di un Bodoni originale
Le forme di uno dei tantissimi Bodoni originale, in quanto Giambattista Bodoni disegnava e produceva punzoni diversi per ogni grandezza. Alcuni con notevoli cambiamenti nelle forme.

Nonostante i rapporti di costruzione lo tendano ad uno slancio verso l’alto, il “Bodoniano” in genere, ma soprattutto il «Bodoni» mantengono tuttavia la rotondità tipica del romano, espressione fedele del neoclassico.

Le lettere presentano le grazia ridotte a un filetto completamente piatto e orizzontale; il raccordo con l’asta verticale è appena accentuato in alcune lettere, altrimenti assente nella globalità; le aperture sono molto ridotte; è molto evidente il rapporto tra grosso e fine tra le aste (contrasto d’asta), le barre e le curvature con un contrasto accentuato e struttura verticale ben inquadrata rispetto ai Transizionali; la (C), la (G) e la (S) hanno i rostri molto pronunciati.

I Bodoniani hanno bisogno di molto spazio (spazio bianco e interlineatura), in modo dar loro molto risalto.

Ma veniamo ora ad analizzare tutti i caratteri recanti il nome Bodoni che generalmente dovrebbero avere una cosa in comune, cioè, che essi si basano e sono una vera e propria interpretazione degli originali di Giambattista Bodoni. In realtà non è così. Nella produzione moderna delle varie fonderie solo la “Valdonega” di Verona ha le forme originali dei caratteri di Bodoni; mentre le altre sono solo imitazioni, parodie e interpretazioni assai discutibili. Durante l’epoca della composizione a piombo, ogni casa produttrice di font aveva la propria versione (adattata) del Bodoni. Anche oggi il Bodoni non è un font definito, ma una famiglia di versioni leggermente differenti l’una dall’altra, ciascuna con le proprie particolarità. Tutte le versioni moderne del Bodoni soffrono di un problema di leggibilità nei corpi piccoli detto dazzle (abbagliamento), dovuto alla continua alternanza di linee spesse e sottili nella riga.

Una serie di punzoni originali di Giambattista Bodoni conservati nel Museo Bodoniano di Parma. Frontespizio e una pagina interna del Manuale Tipografico di Giambattista Bodoni
Una serie di punzoni originali di Giambattista Bodoni conservati nel Museo Bodoniano di Parma. Frontespizio e una pagina interna del Manuale Tipografico di Giambattista Bodoni
il «Bauer Bodoni» creato nel 1926 dal tipografo tedesco Heinrich Jost per la Fonderia Bauer.
il «Bauer Bodoni» creato nel 1926 dal tipografo tedesco Heinrich Jost per la Fonderia Bauer.

Tra i Bodoni digitalizzati il «Bauer Bodoni» creato nel 1926 dal tipografo tedesco Heinrich Jost per la Fonderia Bauer è una versione molto apprezzata per la forte somiglianza ai caratteri originali di Giambattista Bodoni. Heinrich Jost ha lavorato facendo molte prove prima di stabilizzarsi su un equilibrio di contrasti nel disegno dei glifi, volendo emulare i risultati di stampa di Bodoni in un’epoca di diversi processi di stampa, inchiostri, ecc. La competenza dell’incisore Louis Hoell ha permesso di trasferire alla progettazione l’interpretazione tecnica di alta precisione. Hoell aveva già avuto oltre 40 anni di esperienza d’incisione dei punzoni, tra i quali il lavoro alla Fonderia Klingspor Flinsch, prima di incidere il Bauer Bodoni. La complessa storia di una rivisitazione del Bodoni è stato sottoposto a un esame critico intenso.

Il Bodoni Std disegnato da Morris Fuller Benton per lAmerican Type Founders
Il «Bodoni Std» disegnato da Morris Fuller Benton per l’American Type Founders

La chiarezza della forma nei caratteri del Bauer Bodoni, in particolare al corpo 72 punti, consente di confronto dettagliato con le forme dell’originale. È stato comunque sottolineato che ci sono un certo numero di caratteristiche del carattere, in particolare nelle maiuscole, che non sono mai apparse nel lavoro di Giambattista Bodoni. Tuttavia, la maggior parte di queste differenze scompaiono dal corpo 24 punti e inferiori, permettendo alla maggior parte dei critici di essere d’accordo sul fatto che la progettazione di Jost sia un prodotto autentico nello stile e nei pesi.

Il «Bodoni Std» creato da Morris Fuller Benton per l’American Type Founders tra il 1908 e il 1915 è una interpretazione dei modelli del Bodoni dando maggiore importanza alla leggibilità piuttosto che alla fedeltà delle forme ed a sua volta è stato utilizzato come modello da un gran numero di fonderie, compresa la Monotype che nel 1930 produce il «Monotype Bodoni», disegnato dalla Monotype Design Studio. Quest’ultima versione fornisce un effetto di taglio pulito nel disegno dato dalla relativa semplicità. Esso riproduce bene gli originali, specialmente nei formati superiori a corpo 12pt. Questa serie completa di caratteri è un po’ più scura e condensata del Bauer Bodoni.

Berthold Bodoni disegnato nel 1983 da Günter Gerhard Lange
«Bodoni Old Face» disegnato nel 1983 da Günter Gerhard Lange per la Berthold

Per aggiungere più confusione tra i tanti Bodoni prodotti, ci sono due versioni della fonderia Berthold: «Berthold Bodoni-Antiqua» iniziato nel 1930 attraverso il modello della ATF e ripreso nel 1970 da Gerhard Gunter Lange per la fotocomposizione. Ciò ha portato ad una versione più leggera, creata da Karl Gerstner per l’identità europea della IBM verso la fine del 1980. La Berthold, nella sua campagna pubblicitaria del nuovo carattere, affermava: “il Bodoni-Antiqua fornisce un particolare disegno per la produzione tecnologica”. Non male per un carattere del 18° secolo!

Il secondo “Berthold Bodoni”, chiamato «Bodoni Old Face» (senza scuse per questa contraddizione in termini), è stato disegnato nel 1983 da Günter Gerhard Lange, che ha sostenuto poi, giustamente, che un disegno più fedele agli originali potrebbe essere sviluppati.

Un Bodoni poco conosciuto è il «Bodoni Modern» progettato da RH Middleton nel 1930 per l’American Ludlow Foundry, che, come il Berthold Bodoni è stato disegnato basandosi sui campioni stampati nel 18° secolo dal Bodoni.

lITC Bodoni, disegnato da Summer Stone, presenta tre variabili di utilizzo: ITC Bodoni Six per corpi piccoli, ITC Bodoni Twelte per corpi testo, ITC Bodoni Seventy-Two per corpi grandi.
«IITC Bodoni», disegnato nel 1994 sotto la direzione di Summer Stone, presenta tre variabili di utilizzo: «ITC Bodoni Six» per corpi piccoli, disegnato da Holly Goldsmith per il tondo e da Jim Parkinson per il corsivo; «ITC Bodoni Twelte» per corpi testo formato dall’interpolazione delle altre due variabili di grandezza, «ITC Bodoni Seventy-Two» per corpi grandi disegnato da Janice Prescott-Fisherman per il tondo e da Summer Stone per il corsivo, le maiuscole swash e gli ornamenti.

Forse solo il «ITC Bodoni» riesce a reggere i corpi piccoli; questa interpretazione fatta nel 1994 da una equipe di type designer guidati da Summer Stone ha il pregio di presentare variabili nel disegno a seconda delle grandezze: il ITC Bodoni Six basato sul carattere di Bodoni chiamato “Filosofia” per l’utilizzo in corpi piccoli (disegnato da Holly Goldsmith per il tondo e da Jim Parkinson per il corsivo), il ITC Bodoni Seventy-Two, per i corpi grandi, basato sul “Papale” di Bodoni (disegnato da Janice Prescott-Fisherman per il tondo e da Summer Stone per il corsivo, le maiuscole swash e gli ornamenti) e il ITC Bodoni Twelve, per i corpi testo, sviluppato come interpolazione informatica tra le altre due forme.

«ITC Bodoni» è la molto più armoniosa e più umanistica progettazione rispetto alle precedenti interpretazioni del Bodoni mantenendo le caratteristiche originali e lasciando fuori la forzata geometria presente nella maggior parte delle intepretazioni delle altre fonderie.

Anche Massimo Vignelli, famoso graphic designer italiano, si è cimentato nel 1989 nel disegno di un suo Bodoni per la World Typeface Corporation, il «WTC Our Bodoni» facendo una buona versione ricostruita sulla falsariga dei tipi dell’ATF, anche se più leggeri e con una più generosa altezza dell’occhio medio, mancando però di quella finezza o ingenuità, rispetto all’originale del 18° secolo. Nonostante le sue lacune, il Bodoni di Vignelli è stato la migliore fonte digitale fino al 1994, quando la FontShop ha lanciato il «FF Bodoni Classic», disegnato da Gert Weischer. Non sorprendente il successo del «FF Bodoni Classic» che è  “destinato ad essere il prima autentico Bodoni, basato ai tipi del Bodoni presenti nel suo “Manuale Tipografico”, completo anche di tutte le imperfezioni”. Le forme includono alcune deliziose eccentricità, in particolare il terminale a bottone sulla diagonale della (R) maiuscola, che è chiaramente rappresentato nei Bodoni originali, ma trascurata, deliberatamente o meno, da parte da tutte le successive interpretazioni fino a quando non è stata prodotta dalla FontShop. Il corsivo rappresenta anche le vere forme delle lettere di Bodoni, ma con un piccolo difetto rispetto all’angolo d’inclinazione corsiva utilizzata nel 18°, preferendo quella contemporanea del 20° secolo che riduce l’inclinazione agli 11 – 13 gradi invece dei 16 – 18 gradi per il periodo neoclassico. Autenticità è visualizzata anche in alcuni corsivo lettere minuscole (v, w, X e Y, per esempio) in cui il corsivo progettazione esclude la normale diagonale. Come nel Bodoni originale, queste lettere sono sensibilmente curve, mentre per un certo numero di interpretazioni del Bodoni sono stati ignorati questi dettagli a favore di una soluzione ibrida più vicina al «Didot».

Analogamente al «FF Bodoni Classic», la versione della ITC include anche la maiuscola (R) con il terminale della coda a bottone e una sensibile soluzione nelle diagonali del corsivo, ma questa volta gli angoli del corsivo sono più avventurosi, nelle dimensioni display. Jim Parkinson ha progettato la ‘s’ per il minuscolo corsivo, e si rallegra con la controversia che ha provocato. ITC Bodoni ha anche una serie di ornamenti e di fiori del Bodoni che sono diversi da quelli previsti con FF Bodoni Classico, ma ugualmente fedele al Bodoni.

Curiosità nel disegno del «FF Bodoni Classic»
Curiosità nel disegno del «FF Bodoni Classic»

La famiglia del «FF Bodoni» è ancora in fase di completamento da parte di Weischer e risulterà veramente una delle versioni più vicina all’originale romano, con una varietà di fedeli ornamenti fatti dal Bodoni.

Purtroppo per il «FF Bodoni Classic», non è stato ancora previsto la diversificazione delle forme per le varie grandezze di corpo come invece sono presenti nella versione della ITC (6, 12 e 72 punti) come già illustrato sopra.

Esistono poi altri Bodoni come il «Bodoni SB» per l’utilizzo nei bodytype e il «Bodoni SH» per l’utilizzo nei headline, ambedue della tedesca Scangraphic; il «EF Bodoni» della Elsner+Flake.




il Ditot originale
Lo specimen originale del Didot
Nel «Didot» la grazia è finissima creando problemi nella stampa in corpi piccoli. Di questo carattere esiste una versione digitalizzata dalla Linotype su disegni eseguiti nel 1991 da Adrian Frutiger basandosi sulle forme incise da Firmin Didot dal 1799 e il 1811 il «Linotype Didot».

Frutiger ha anche studiato i tipi del Didot da un libro stampato dai Didot nel 1818, “La Henriade” di Voltaire. Questa bellissima famiglia dispone di 12 variabili di peso comprendendo i glifi Old Style, una versione per la titolazione, e ornamenti in una superba grafica.

Altro esempio di Didot è il «H&FJ Didot» disegnato nel 1991 da Jonathan Hoefler per la Hoefler & Frere-Jones. Basato sul modello storico del “grosse sans pareille no. 206” di Molé le jeune per completare le forme mancanti dal “Facsimile des caractères” di Didot del 1819. Il corsivo è stato un po’ inventato per funzionare a grandi dimensioni. Sono stati disegnati differenti variabili di peso e i numeri che i Didot non avevano mai inciso.

Il «Didot Elder» è stato disegnato da François Roppo per la fonderia svizzera Optimo. Questo carattere è un rigoroso revival cercando di riprodurre tutte le caratteristiche dell’originale di Pierre Didot al contrario di altre interpretazioni sempre basate sui tipi di Firmin Didot (Jonathan Hoefler, Adrian Frutiger per la Linotype). La maggior parte della sua apparente idiosincrasie sono le freccie utilizzate come grazie in alcune lettere (G), (C), e (S). Non sono presenti glifi supplementari a questi “frecciati”, che credo sia un errore, perché riduce l’utilizzo del carattere.

Il carattere tipografico è stato intagliato dal punzonista Vibert nell’arco di tempo di dieci anni sotto la direzione di Pierre Didot. È stato utilizzato per la prima volta da Pierre per lanciare una nuova collezione di libri nel 1812. I punzoni sono oggi conservati in Joh Enschedé Museum di Haarlem, Paesi Bassi.

Un esempio minore è il «Fashion Didot» della BA Graphics interpretazione molto condensata del «Didot».

Ulteriori «Didot» digitalizzati sono il «URW Firmin Didot» disegnato dallo URW Studio e il «GFS Didot» disegnato nel 1994 da Takis Katsoulidis, e digitalizzato da George Matthiopoulos.

Del «Walbaum» di Justus Erich Walbaum esistono diversi derivati: il «Berthold Walbaum Book», il «Monotype Walbaum» sviluppato dal Monotype Staff, il «Linotype Walbaum» influenzato nella digitalizzazione dall’ «Utopia» di Robert Slimbach; il «EF Walbaum» della Elsner+Flake e il «Walburn» disegnato da Nick Shinn nel 1999 interpretazione personale del carattere del tedesco.

Tra i tipi Bodoniani ricordiamo: il «Normandia» disegnato da Aldo Novarese e Alessandro Butti nel 1946, «ITC Fenice» di Aldo Novarese, il «De Vinne» di Schroeder Gustav F., il «Bulmer» disegnato da William Martin, il «Corvinus» di Dennis Ortiz-Lopez, il «Centennial» disegnato da Adrian Frutiger, il «Giannoten» di Antonio Pace, il «Filosofia» ottima libera intepretazione di Zuzana Licko, «Marconi», «Basilia», ecc.

Ex libris: Eric Gill

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Eric Gill il famoso scultore, disegnatore di caratteri e tipografo inglese, nato a Brighton nel 1882, che guadagnò notorietà negli anni ’30 dello scorso secolo per i suoi celebri caratteri come il Gill Sans (1929), il Perpetua (1929) e il Joanna (1930 – 1931) (considerato il più bel corsivo del novecento basato sui caratteri del Granjon) e i meno noti Golden Cockerel Press Type (per la Golden Cockerel Press; 1929), il Solus (1929), l’Aries (1932), il Floriated Capitals (1932), il Bunyan (1934) e il Jubilee (conosciuto anche come Cunard; 1934) collaborando con la Monotype Corporation e nelle opere d’arte come i rilievi della Via Crucis della cattedrale londinese di Westmister è famoso anche per la produzione xilografica di pregevoli ex libris (alcuni a tema erotico).

In questo suo ex libris personale è visibile la devozione per i libri e la tipografia, una mano irradia luce sopra un libro aperto contenente la dicitura latina Liber est causa sui.
In questo suo ex libris personale è visibile la devozione per i libri e la tipografia, una mano irradia luce sopra un libro aperto contenente la dicitura latina “Liber est causa sui”.

Ex libris dedicato a Ananda Coomaraswamy
Ex libris dedicato a Ananda Coomaraswamy
Matrice in legno dellex libris per Freida & Kemp Waldie
Matrice in legno dell’ex libris per Freida & Kemp Waldie
Lex libris “Eve” per Jacob Weiss. Questo lavoro è allo stesso tempo profondamente religioso e profondamente sensuale
L’ex libris “Eve” per Jacob Weiss. Questo lavoro è allo stesso tempo profondamente religioso e profondamente sensuale
Ex libris dedicato a Mary Gill
Ex libris dedicato a Mary Gill

Testi e caratteri per il video

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Oltre per la grafica editoriale e paraeditoriale l’importanza della scelta dei corpi incide anche sulla lettura a schermo che è più faticosa e la fatica aumenta quando i caratteri sono molto piccoli.

Per esigenze d’impaginazione si tende spesso ad impostare con i fogli di stile caratteri molto piccoli, a 8-10 pixel (per le grandezze non si parlerà più di corpi ma di pixel), specie quando il layout grafico prevede la disposizione dei contenuti su tre o quattro colonne.

Impostazioni di questo genere non sarebbero di per sé discriminanti se non ci fossero alcuni ostacoli critici. Il primo ostacolo è che molti utenti non conoscono adeguatamente le funzionalità del proprio browser e probabilmente non sanno che possono sfruttare lo zoom per ingrandire o rimpicciolire il testo. Fin qui è sufficiente un minimo d’informazione.

La maggior parte dei browser permette di modificare la dimensione dei caratteri, in caso di necessità con comandi facilmente accessibili nella barra dei menu. Le impostazioni di Internet Explorer®, permettono questo controllo in modo più restrittivo e meno elastico rispetto ad altri browser.

La maggiore difficoltà della lettura a monitor (circa il 25% più lenta che su carta) data dalla minor risoluzione rispetto alla carta, dell’emissione luminosa dei video (più affaticante della carta) e dell’innaturale posizione nella quale ci si trova ad affrontare l’atto della lettura su monitor, ha posto a designer e progettisti la necessità di trovare dei modi che potessero bilanciare queste difficoltà.

Il primo risultato è stato quello di preferire caratteri senza grazie, il secondo nella nascita degli screen-font atti a sfruttare al meglio la tecnologia a pixel. Già il sistema operativo Macintosh utilizzava da tempo per i messaggi di sistema un font lineare particolare, il «Chicago», dall’aspetto tozzo e lineare, con poche linee oblique, facile da leggere anche a risoluzioni piuttosto basse.

Esempi di font video, studiati unicamente per questo utilizzo come internet e multimedia e pertanto fortemente sconsigliati nella stampa tradizionale tipografica sono il «Verdana» (1994), il «Tahoma» (2000) e il romano «Georgia» (2000) disegnati dal type-designer Matthew Carter il quale, basandosi su lunghi studi ed esperimenti, ha identificato alcuni parametri che gli hanno consentito di progettare i cosiddetti screen-font per Microsoft. Altro screen-font molto utilizzato nel web design è il «Trebuchet» un lineare umanista progettato dal fotografo & type designer Vincent Connare nel 1996, il quale tra il 1999 e il 2000 progetta il «Magpie» un corsivo che nella forma corsiva ricorda molto i primi corsivi tipografici di tipo calligrafico sempre per l’utilizzo multimediale.

Anche «Arial», già citato in un precedente post di questo mese sulla sua somiglianza e confusione con l’Helvetica, progettato nel 1982 da Robin Nicholas e Patricia Saunders per la Monotype Design Staff come font di sistema operativo per la Microsoft si può considerare come carattere per video e non come, molto erroneamente utilizzato, per la tipografia e per l’immagine coordinata.

Arial o Helvetica? Attenti a non confonderli

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Scoprite le piccole differenze tra Arial e Helvetica
Scoprite le piccole differenze tra l’Arial e l’Helvetica

Esistono due caratteri molto simili tra loro che molti credono uguali: l’Helvetica e l’Arial.

In realtà l’Helvetica (Neue Haas Grotesk) è un carattere tipografico progettato nel 1957 da Max Miedinger e Edoward Hoffman per la Haas Type Foundry di Munchenstein (Svizzera), e rimodernato nel 1983, prendendo la denominazione di Neu Helvetica, dal Linotype Design Staff.

Il secondo invece è un carattere, certamente somigliante al primo, ma progettato nel 1982 da Robin Nicholas e Patricia Saunders per la Monotype Design Staff come font di sistema operativo per la Microsoft e molto erroneamente utilizzato in tipografia e per l’immagine coordinata.

Molti vedono somiglianze “copiature” dell’Arial anche verso Univers di Adrian Frutiger (1957) mentre per gli autori il disegno dei caratteri sono stati presi dal Monotype Grotesque disegnato da Frank Hinman Pierpont nel 1926 per la Monotype foundry.

Un problema quello delle copiature di disegni di caratteri variandoli in parte e molte volte in peggio che parte da Claude Garamond che copia il Bembo di Francesco Griffo per arrivare ai font della Bitstream che rinomina i tipi più famosi con altre denominazioni e variando di poco il disegno (esempio: Gill Sans che diventa Humanist, Univers che diventa Zurich e Helvetica in Swiss) tutto questo per evitare problemi di licenze.

L’Arial è visto quindi come un qualcosa derivato dell’Helvetica ma senza averne pagato i diritti legali

Presso il seguente sito potete trovare un interessante quiz per vedere se siete in grado di riconoscerli: www.iliveonyourvisits.com/helvetica/

Un interessante sito su tale problema è: www.mimeartist.com/helvetica

Testo in portoghese