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Type Design 3: il “Contrast” di Maddalena Lo Franco

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Siamo giunti al settimo appuntamento settimanale con i lavori tipografici prodotti nella terza edizione del “Corso di Alta Formazione in Type Design” presso il Poli.design di Milano.

Questa settimana vi presento un’altra font ispirata ad una delle quattro architetture milanesi prese in esame dai partecipanti al corso. Dopo il «Salieri» di Diana Quarti e il «Labi.bold» di Laura Ferrario la terza font abbinata al “Teatro alla Scala” è il «Contrast» di Maddalena Lo Franco in una variabile di peso.

Nei prossimi appuntamenti del post del martedì vedremo, di settimana in settimana, gli altri lavori sempre abbinati alle quattro architetture milanesi: Torre Velasca, Stazione Centrale, Teatro alla Scala e Ca’ Brutta.

Ecco come Maddalena ci presenta il suo iter progettuale:

Da un’accurata analisi storica e architettonica dell’edificio preso in esame, sono emerse varie caratteristiche che hanno contribuito allo sviluppo della font. La storia del “Teatro alla Scala” di Milano, vanta due importanti eventi: il primo è naturalmente la sua costruzione, datata 3 agosto 1778, ad opera dell’architetto neoclassico Giuseppe Piermarini; ed il secondo è il restauro e l’ampliamento fatto all’edificio tra il 2002 e il 2004 ad opera di Mario Botta. Nella struttura, si è verificata dunque una contrapposizione di epoche e di culture che hanno determinato in modo rilevante il modo di concepire il teatro, la sua architettuta e di conseguenza tutto il circuito di identità grafica e visiva ad esso legati.

Da queste considerazioni nasce «Contrast», una font pensata per il Teatro alla Scala di Milano, in grado di evocare un’epoca passata e riflettere l’epoca presente.

In relazione a quanto detto, è stata fatta un’analisi tipografica dei due periodi storici, ossia: il periodo neoclassico e quello contemporaneo.

Tale analisi ha preso in considerazione esclusivamente i caratteri tipografici italiani attribuendo rispettivamente al periodo neoclassico, il carattere «Bodoni», di Giambattista Bodoni, e al periodo contemporaneo, il carattere «FF Strada» di Albert Pinggera. Essendo due font molto diverse tra loro, che rispecchiano perfettamente le due epoche, sia dal punto d vista storico che architettonico, hanno fortemente determinato le peculiarità della font «Contrast».

Così, si è scelto di tenere in considerazione alcuni aspetti propri delle due font, alcuni di questi sono stati: l’alto contrasto chiaro-scurale delle aste, caratteristica predominante nel «Bodoni», oppure il disegno di un carattere lineare, proprio del disegno della font «FF Strada». Come si evince dalle illustrazioni, le caratteristiche di queste due font (almeno in una prima fase) ricorrono frequentemente nel nuovo disegno.

La font «Contrast» è stata progettata principalmente per operare un intervento di archigrafia sull’edificio in questione. Prevede un solo peso, e può essere utilizzata anche per altre funzioni, quali: segnaletica, indicazioni all’interno del teatro, comunicazioni al pubblico o in uffici e attività collegate al Teatro della Scala.

Per l’archigrafia, le singole lettere sono state pensate scatolate, poste sulla facciata del Teatro, in modo tale da comporre la frase “TEATRO ALLA SCALA”.

I lavori già presentati nei precedenti post:
Il «Salieri» di Diana Quarti
Il «Velasca» di Nora Dealti
Il «Monumentale» di Pierfrancesco Annichiarico
Il «MilanoCentrale» di Alberto Manzella
Il «Labi.bold» di Laura Ferrario
Il «Velasca» di Laura Dal Maso

Type Design 3: il “Labi.bold” di Laura Ferrario

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Siamo arrivati alla quinta presentazione dei lavori della terza edizione del “Corso di Alta Formazione in Type Design” presso il Poli.design di Milano.

Dopo aver presentato nelle scorse settimane, abbinati alle quattro architetture milanesi le prime font progettate: il “Salieri” di Diana Quarti per il “Teatro alla Scala”, il “Velasca” di Nora Dealti per la “Torre Velasca” e il “Monumentale” di Pierfrancesco Annichiarico per la “Ca’ Brutta”, e il “MilanoCentrale Regular” di Alberto Manzella per la “Stazione Centrale”, riprendiamo questa settimana con un’altra font progettata per il “Teatro alla Scala”: il “Labi.bold” di Laura Ferrario.

Nei prossimi appuntamenti del post del martedì vedremo, di settimana in settimana, gli altri lavori sempre abbinati a queste quattro architetture milanesi.

Così Laura ci presenta il suo lavoro:

Labi.bold nasce dall’esigenza di costruire una nuova immagine coordinata del “Teatro alla Scala” che leghi la nuova struttura moderna progettata da Mario Botta con l’opera del grande architetto neoclassico Giuseppe Piermarini.

Ho voluto fare una ricerca partendo dal carattere romano e tra schizzi vari mi è balzata all’occhio l’inclinazione di un’asse della lettera “b” che mi ha affascinato subito.
Abbandonato subito il romano; qualsiasi grazia che avvicinavo al logo ufficiale del teatro risultava inadatta; ho cominciato a guardare i caratteri più lineari legati all’era moderna e ho notato che un carattere con delle forme tonde si abbinava bene al marchio e riprendeva la rotondità della torre.
Tenendo l’inclinazione della asse obliqua della “b” e riportandola anche in anche in altri glifi ho creato spessori e proporzioni giuste per una font che sarebbe servita soprattutto per la segnaletica.

6) Bodoniani – Neoclassici (Classificazione Novarese)

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Sono i caratteri classici creati da Giambattista Bodoni in Italia dal 1789, da Françoise-Ambroise Didot e suo figlio Firmin in Francia nel 1783 e da Erich Justus Walbaum in Germania nel 1810.

Essi disegnarono i più bei caratteri che siano mai stati ideati e che sono, ancora oggi, molto utlizzati.

Il primo esempio di questo stile è attribuito al francese Firmin Didot che incise misure diverse dei caratteri inventati dal padre, i «Didot», ispirandosi a quelli di Louis Luce e ne creò il corsivo, e lo utilizzò in stampa per la prima volta nel 1784.

Successivamente anche Giambattista Bodoni, fu influenzato dal Romains du Roi, con le sue grazie piatte, e dai contrasti d’asta dei caratteri del Baskerville per il quale aveva sempre provato grande ammirazione.

Il carattere Bodoniano, dai francesi chiamato Didones, è molto elegante, armonioso, risultando però di difficile lettura per la composizione di lunghi testi, e in corpi piccoli, a causa della rigidità neoclassica del disegno e dall’occhio piccolo della lettera nella maggior parte dei casi degli alfabeti di questa famiglia; sono invece molto decorativi nei corpi medi e grandi dove trovano il miglior utilizzo nella stampa di qualità come titolazioni e frontespizi di libri, pubblicità (in Italia l’uso del «Bodoni» è attualmente molto legato al design della moda e al “made in Italy” in generale).

Le forme di un Bodoni originale
Le forme di uno dei tantissimi Bodoni originale, in quanto Giambattista Bodoni disegnava e produceva punzoni diversi per ogni grandezza. Alcuni con notevoli cambiamenti nelle forme.

Nonostante i rapporti di costruzione lo tendano ad uno slancio verso l’alto, il “Bodoniano” in genere, ma soprattutto il «Bodoni» mantengono tuttavia la rotondità tipica del romano, espressione fedele del neoclassico.

Le lettere presentano le grazia ridotte a un filetto completamente piatto e orizzontale; il raccordo con l’asta verticale è appena accentuato in alcune lettere, altrimenti assente nella globalità; le aperture sono molto ridotte; è molto evidente il rapporto tra grosso e fine tra le aste (contrasto d’asta), le barre e le curvature con un contrasto accentuato e struttura verticale ben inquadrata rispetto ai Transizionali; la (C), la (G) e la (S) hanno i rostri molto pronunciati.

I Bodoniani hanno bisogno di molto spazio (spazio bianco e interlineatura), in modo dar loro molto risalto.

Ma veniamo ora ad analizzare tutti i caratteri recanti il nome Bodoni che generalmente dovrebbero avere una cosa in comune, cioè, che essi si basano e sono una vera e propria interpretazione degli originali di Giambattista Bodoni. In realtà non è così. Nella produzione moderna delle varie fonderie solo la “Valdonega” di Verona ha le forme originali dei caratteri di Bodoni; mentre le altre sono solo imitazioni, parodie e interpretazioni assai discutibili. Durante l’epoca della composizione a piombo, ogni casa produttrice di font aveva la propria versione (adattata) del Bodoni. Anche oggi il Bodoni non è un font definito, ma una famiglia di versioni leggermente differenti l’una dall’altra, ciascuna con le proprie particolarità. Tutte le versioni moderne del Bodoni soffrono di un problema di leggibilità nei corpi piccoli detto dazzle (abbagliamento), dovuto alla continua alternanza di linee spesse e sottili nella riga.

Una serie di punzoni originali di Giambattista Bodoni conservati nel Museo Bodoniano di Parma. Frontespizio e una pagina interna del Manuale Tipografico di Giambattista Bodoni
Una serie di punzoni originali di Giambattista Bodoni conservati nel Museo Bodoniano di Parma. Frontespizio e una pagina interna del Manuale Tipografico di Giambattista Bodoni
il «Bauer Bodoni» creato nel 1926 dal tipografo tedesco Heinrich Jost per la Fonderia Bauer.
il «Bauer Bodoni» creato nel 1926 dal tipografo tedesco Heinrich Jost per la Fonderia Bauer.

Tra i Bodoni digitalizzati il «Bauer Bodoni» creato nel 1926 dal tipografo tedesco Heinrich Jost per la Fonderia Bauer è una versione molto apprezzata per la forte somiglianza ai caratteri originali di Giambattista Bodoni. Heinrich Jost ha lavorato facendo molte prove prima di stabilizzarsi su un equilibrio di contrasti nel disegno dei glifi, volendo emulare i risultati di stampa di Bodoni in un’epoca di diversi processi di stampa, inchiostri, ecc. La competenza dell’incisore Louis Hoell ha permesso di trasferire alla progettazione l’interpretazione tecnica di alta precisione. Hoell aveva già avuto oltre 40 anni di esperienza d’incisione dei punzoni, tra i quali il lavoro alla Fonderia Klingspor Flinsch, prima di incidere il Bauer Bodoni. La complessa storia di una rivisitazione del Bodoni è stato sottoposto a un esame critico intenso.

Il Bodoni Std disegnato da Morris Fuller Benton per lAmerican Type Founders
Il «Bodoni Std» disegnato da Morris Fuller Benton per l’American Type Founders

La chiarezza della forma nei caratteri del Bauer Bodoni, in particolare al corpo 72 punti, consente di confronto dettagliato con le forme dell’originale. È stato comunque sottolineato che ci sono un certo numero di caratteristiche del carattere, in particolare nelle maiuscole, che non sono mai apparse nel lavoro di Giambattista Bodoni. Tuttavia, la maggior parte di queste differenze scompaiono dal corpo 24 punti e inferiori, permettendo alla maggior parte dei critici di essere d’accordo sul fatto che la progettazione di Jost sia un prodotto autentico nello stile e nei pesi.

Il «Bodoni Std» creato da Morris Fuller Benton per l’American Type Founders tra il 1908 e il 1915 è una interpretazione dei modelli del Bodoni dando maggiore importanza alla leggibilità piuttosto che alla fedeltà delle forme ed a sua volta è stato utilizzato come modello da un gran numero di fonderie, compresa la Monotype che nel 1930 produce il «Monotype Bodoni», disegnato dalla Monotype Design Studio. Quest’ultima versione fornisce un effetto di taglio pulito nel disegno dato dalla relativa semplicità. Esso riproduce bene gli originali, specialmente nei formati superiori a corpo 12pt. Questa serie completa di caratteri è un po’ più scura e condensata del Bauer Bodoni.

Berthold Bodoni disegnato nel 1983 da Günter Gerhard Lange
«Bodoni Old Face» disegnato nel 1983 da Günter Gerhard Lange per la Berthold

Per aggiungere più confusione tra i tanti Bodoni prodotti, ci sono due versioni della fonderia Berthold: «Berthold Bodoni-Antiqua» iniziato nel 1930 attraverso il modello della ATF e ripreso nel 1970 da Gerhard Gunter Lange per la fotocomposizione. Ciò ha portato ad una versione più leggera, creata da Karl Gerstner per l’identità europea della IBM verso la fine del 1980. La Berthold, nella sua campagna pubblicitaria del nuovo carattere, affermava: “il Bodoni-Antiqua fornisce un particolare disegno per la produzione tecnologica”. Non male per un carattere del 18° secolo!

Il secondo “Berthold Bodoni”, chiamato «Bodoni Old Face» (senza scuse per questa contraddizione in termini), è stato disegnato nel 1983 da Günter Gerhard Lange, che ha sostenuto poi, giustamente, che un disegno più fedele agli originali potrebbe essere sviluppati.

Un Bodoni poco conosciuto è il «Bodoni Modern» progettato da RH Middleton nel 1930 per l’American Ludlow Foundry, che, come il Berthold Bodoni è stato disegnato basandosi sui campioni stampati nel 18° secolo dal Bodoni.

lITC Bodoni, disegnato da Summer Stone, presenta tre variabili di utilizzo: ITC Bodoni Six per corpi piccoli, ITC Bodoni Twelte per corpi testo, ITC Bodoni Seventy-Two per corpi grandi.
«IITC Bodoni», disegnato nel 1994 sotto la direzione di Summer Stone, presenta tre variabili di utilizzo: «ITC Bodoni Six» per corpi piccoli, disegnato da Holly Goldsmith per il tondo e da Jim Parkinson per il corsivo; «ITC Bodoni Twelte» per corpi testo formato dall’interpolazione delle altre due variabili di grandezza, «ITC Bodoni Seventy-Two» per corpi grandi disegnato da Janice Prescott-Fisherman per il tondo e da Summer Stone per il corsivo, le maiuscole swash e gli ornamenti.

Forse solo il «ITC Bodoni» riesce a reggere i corpi piccoli; questa interpretazione fatta nel 1994 da una equipe di type designer guidati da Summer Stone ha il pregio di presentare variabili nel disegno a seconda delle grandezze: il ITC Bodoni Six basato sul carattere di Bodoni chiamato “Filosofia” per l’utilizzo in corpi piccoli (disegnato da Holly Goldsmith per il tondo e da Jim Parkinson per il corsivo), il ITC Bodoni Seventy-Two, per i corpi grandi, basato sul “Papale” di Bodoni (disegnato da Janice Prescott-Fisherman per il tondo e da Summer Stone per il corsivo, le maiuscole swash e gli ornamenti) e il ITC Bodoni Twelve, per i corpi testo, sviluppato come interpolazione informatica tra le altre due forme.

«ITC Bodoni» è la molto più armoniosa e più umanistica progettazione rispetto alle precedenti interpretazioni del Bodoni mantenendo le caratteristiche originali e lasciando fuori la forzata geometria presente nella maggior parte delle intepretazioni delle altre fonderie.

Anche Massimo Vignelli, famoso graphic designer italiano, si è cimentato nel 1989 nel disegno di un suo Bodoni per la World Typeface Corporation, il «WTC Our Bodoni» facendo una buona versione ricostruita sulla falsariga dei tipi dell’ATF, anche se più leggeri e con una più generosa altezza dell’occhio medio, mancando però di quella finezza o ingenuità, rispetto all’originale del 18° secolo. Nonostante le sue lacune, il Bodoni di Vignelli è stato la migliore fonte digitale fino al 1994, quando la FontShop ha lanciato il «FF Bodoni Classic», disegnato da Gert Weischer. Non sorprendente il successo del «FF Bodoni Classic» che è  “destinato ad essere il prima autentico Bodoni, basato ai tipi del Bodoni presenti nel suo “Manuale Tipografico”, completo anche di tutte le imperfezioni”. Le forme includono alcune deliziose eccentricità, in particolare il terminale a bottone sulla diagonale della (R) maiuscola, che è chiaramente rappresentato nei Bodoni originali, ma trascurata, deliberatamente o meno, da parte da tutte le successive interpretazioni fino a quando non è stata prodotta dalla FontShop. Il corsivo rappresenta anche le vere forme delle lettere di Bodoni, ma con un piccolo difetto rispetto all’angolo d’inclinazione corsiva utilizzata nel 18°, preferendo quella contemporanea del 20° secolo che riduce l’inclinazione agli 11 – 13 gradi invece dei 16 – 18 gradi per il periodo neoclassico. Autenticità è visualizzata anche in alcuni corsivo lettere minuscole (v, w, X e Y, per esempio) in cui il corsivo progettazione esclude la normale diagonale. Come nel Bodoni originale, queste lettere sono sensibilmente curve, mentre per un certo numero di interpretazioni del Bodoni sono stati ignorati questi dettagli a favore di una soluzione ibrida più vicina al «Didot».

Analogamente al «FF Bodoni Classic», la versione della ITC include anche la maiuscola (R) con il terminale della coda a bottone e una sensibile soluzione nelle diagonali del corsivo, ma questa volta gli angoli del corsivo sono più avventurosi, nelle dimensioni display. Jim Parkinson ha progettato la ‘s’ per il minuscolo corsivo, e si rallegra con la controversia che ha provocato. ITC Bodoni ha anche una serie di ornamenti e di fiori del Bodoni che sono diversi da quelli previsti con FF Bodoni Classico, ma ugualmente fedele al Bodoni.

Curiosità nel disegno del «FF Bodoni Classic»
Curiosità nel disegno del «FF Bodoni Classic»

La famiglia del «FF Bodoni» è ancora in fase di completamento da parte di Weischer e risulterà veramente una delle versioni più vicina all’originale romano, con una varietà di fedeli ornamenti fatti dal Bodoni.

Purtroppo per il «FF Bodoni Classic», non è stato ancora previsto la diversificazione delle forme per le varie grandezze di corpo come invece sono presenti nella versione della ITC (6, 12 e 72 punti) come già illustrato sopra.

Esistono poi altri Bodoni come il «Bodoni SB» per l’utilizzo nei bodytype e il «Bodoni SH» per l’utilizzo nei headline, ambedue della tedesca Scangraphic; il «EF Bodoni» della Elsner+Flake.




il Ditot originale
Lo specimen originale del Didot
Nel «Didot» la grazia è finissima creando problemi nella stampa in corpi piccoli. Di questo carattere esiste una versione digitalizzata dalla Linotype su disegni eseguiti nel 1991 da Adrian Frutiger basandosi sulle forme incise da Firmin Didot dal 1799 e il 1811 il «Linotype Didot».

Frutiger ha anche studiato i tipi del Didot da un libro stampato dai Didot nel 1818, “La Henriade” di Voltaire. Questa bellissima famiglia dispone di 12 variabili di peso comprendendo i glifi Old Style, una versione per la titolazione, e ornamenti in una superba grafica.

Altro esempio di Didot è il «H&FJ Didot» disegnato nel 1991 da Jonathan Hoefler per la Hoefler & Frere-Jones. Basato sul modello storico del “grosse sans pareille no. 206” di Molé le jeune per completare le forme mancanti dal “Facsimile des caractères” di Didot del 1819. Il corsivo è stato un po’ inventato per funzionare a grandi dimensioni. Sono stati disegnati differenti variabili di peso e i numeri che i Didot non avevano mai inciso.

Il «Didot Elder» è stato disegnato da François Roppo per la fonderia svizzera Optimo. Questo carattere è un rigoroso revival cercando di riprodurre tutte le caratteristiche dell’originale di Pierre Didot al contrario di altre interpretazioni sempre basate sui tipi di Firmin Didot (Jonathan Hoefler, Adrian Frutiger per la Linotype). La maggior parte della sua apparente idiosincrasie sono le freccie utilizzate come grazie in alcune lettere (G), (C), e (S). Non sono presenti glifi supplementari a questi “frecciati”, che credo sia un errore, perché riduce l’utilizzo del carattere.

Il carattere tipografico è stato intagliato dal punzonista Vibert nell’arco di tempo di dieci anni sotto la direzione di Pierre Didot. È stato utilizzato per la prima volta da Pierre per lanciare una nuova collezione di libri nel 1812. I punzoni sono oggi conservati in Joh Enschedé Museum di Haarlem, Paesi Bassi.

Un esempio minore è il «Fashion Didot» della BA Graphics interpretazione molto condensata del «Didot».

Ulteriori «Didot» digitalizzati sono il «URW Firmin Didot» disegnato dallo URW Studio e il «GFS Didot» disegnato nel 1994 da Takis Katsoulidis, e digitalizzato da George Matthiopoulos.

Del «Walbaum» di Justus Erich Walbaum esistono diversi derivati: il «Berthold Walbaum Book», il «Monotype Walbaum» sviluppato dal Monotype Staff, il «Linotype Walbaum» influenzato nella digitalizzazione dall’ «Utopia» di Robert Slimbach; il «EF Walbaum» della Elsner+Flake e il «Walburn» disegnato da Nick Shinn nel 1999 interpretazione personale del carattere del tedesco.

Tra i tipi Bodoniani ricordiamo: il «Normandia» disegnato da Aldo Novarese e Alessandro Butti nel 1946, «ITC Fenice» di Aldo Novarese, il «De Vinne» di Schroeder Gustav F., il «Bulmer» disegnato da William Martin, il «Corvinus» di Dennis Ortiz-Lopez, il «Centennial» disegnato da Adrian Frutiger, il «Giannoten» di Antonio Pace, il «Filosofia» ottima libera intepretazione di Zuzana Licko, «Marconi», «Basilia», ecc.