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Tipografia popular brazileira

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In Brasile vengono progettate diverse font partendo dal ridisegno di lettere pitturate a mano in occasioni di manifesti e striscioni fieristici, lettering d’insegne, menu calligrafici dei bar, ecc. Una visione del quotidiano che ti sta intorno nelle vie, sui muri, nelle vetrine dei piccoli negozi.
Tali lettere sono riportate in una griglia fissa per studiarne le proporzioni per poi progettare le lettere mancanti, i numeri, gli accenti, i simboli ed i segni d’interpunzione. Le font presenti in questo post sono state poi prodotte dalla fonderia digitale Tipos Populares do Brasil.

Nel carattere Responsa (2004, market price font) di Pedro Moura viene mostrata la quantità delle possibilità della tipografia popolare brasiliana facendo risaltare le pseudo grazie delle lettere B, P e R

Esempio con lutilizzo del Responsa
Esempio con l’utilizzo del Responsa

Nel carattere Tetéla (2004, connected script) disegnato da Pedro Moura partendo da dei minuscoli corsivi della tipografia popolare brasiliana viene sviluppata una forma armonica tra le lettere fatte da diversi artisti.

Una corretta regolazione del kerning di questa font rende possibile una legatura continua fra tutte le lettere dell’alfabeto, poiché così erano state dipinte nella realtà. Inoltre, il disegno delle maiuscole sono molto elaborati, risultando come font adatta alle titolazioni.

Esempio di utilizzo del Tetéla
Esempio di utilizzo del Tetéla


Il Tetra, sempre di Pedro Moura, è invece una adattazione di un carattere usato per un cartello prezzi di una macelleria in una via di São Paulo. La sua forma inregolare e la sua prospettiva storta gli conferisce un aspetto urbano e decompresso.


Per il font Caprichoza, Pedro Moura è partito da una targa presente in una casa di Niterói, di fronte al tradizionale bar Barroquinho, e il suo disegno si mostrò tanto elaborato che propiziò la costruzione quasi completa del carattere partendo dall’originale fotografico. La costruzione tipografica, ugualmente inregolare in alcuni tratti, segue una logica ben definita, data dal movimento della penellata curvilinea dell’artista in uno stile decorativo che ricorda l’Art Nouveau, talvolta adattato alla locale realtà tropicale. Furono fatte 27 lettere dell’alfabeto latino più il sistema completo di lettere accentate.

Ultimo carattere di Pedro Moura è il Marvada, questa font fa parte del gruppo “rústicas” dei caratteri della Tipografia popolare. Essa è una riproduzione diretta di diverse targhe per gli annunci prodotti da persone con alfabetizzazione precaria. La sua proposta è fare un abbordaggio semantico della realtà del grado d’istruzione del popolo brasiliano, e che si caratterizza come una font sperimentale. Questa caratteristica si riproduce nella costruzione dei caratteri e nella logica di ordinamento dell’archivio digitale: tutti i glifi sono disegnati come altezza della maiuscola e mantengono tutti gli errori di ortografia e di disegno errato come per esempio la “S” invertita o la “W” sostituita per la “I”, o la “Ç” sostituita per la “ss” e la “J” e la “R” minuscole. Allo stesso tempo, se l’utilizzatore del font vuole scrivere correttamente, può utilizzare la versione come minuscolo, quindi senza il tasto Shift, per scrivere senza errori.

La font 1 Rial fu sviluppata nel 2006 da Fátima Finizola partendo dall’0sservazione dei caratteri vernacolari utilizzati nelle targhe delle vie nella città di Recife. Partendo da l’essenza del disegno originale, alcune lettere furono ritoccate e le lettere mancanti furono disegnate basandosi su quelle presenti. La font è marcata per gli angoli retti e tratti rustici e grossolani, mostrando gli atrezzi utilizzati dal letterista per disegnarle e dipingerle.

Thereza è una font xilografica prodotta dal designer brasiliano Fernando Rocha.
La sua tipografia digitale si basa sulla stampa xilografica e sulla letteratura dello “spago”: «La font fu fatta come progetto della Faculdade (PUC-Rio) e l’obiettivo della ricerca era stato le lezioni d’incisione. L’idea del progetto era di produrre una font basandosi selle tecniche d’incisione; la font Thereza fu una di queste soluzioni. Il nome della font venne dedicato a Thereza Miranda che fu una pioniera della fotoincisione in Brasile e una deli incisori più importanti. Gli studenti del PUC furono entusiasti per questa scelta mentre per la Facoltà appariva assurdo perché non presentava al meglio il tema del corso …»
L’alfabeto fu intagliato nel legno lettera per lettera, digitalizzato e corretto in Adobe illustrator, infine importato su Fontlab per l’implementazione finale come font.

By Pedro Moura: Teteia (2004, connected script), Responsa (2004, market price font), Caprichoza (2004, handprinted display face), Marvada (2004), Treta (2004, handprinted outline face), Faceira (2005, another connected script). Treta excepted, inspiration for these fonts came from the streets of Rio de Janeiro.
By Fernando Rocha, Rio de Janeiro: Thereza Miranda.
By Buggy, Recife: Cordel.
By Gustavo Lassala, Sao Paulo: Adrenalina (no longer free).
By Fernando PJ, Salvador: Bonoco 2.0, Suburbana.
By Fatima Finizola, Recife: 1Rial.

Gli stampatori del 1500 a Milano: Michele Tini & Giacomo Piccaglia stampatori del Seminario di Milano al tempo di San Carlo Borromeo

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Il frontespizio del libro “Dialogo en laude de las mugeres”
Il frontespizio del libro “Dialogo en laude de las mugeres”

Nella seconda metà del 1500 anche il Seminario di Milano aveva una sua tipografia fortemente voluta dal suo Cardinale Carlo Borromeo. Da antichi documenti come il “Libro Mastro d’Entrata 1579 – 1585” registro amministrativo del Seminario, vengono citate varie informazioni riguardanti la storia della tipografia seminariale. Le prime notizie sono del 1579 quando viene segnata, su tale libro mastro, l’uscita di ben 2.521 lire, 6 soldi e 9 denari, cifra a quel tempo elevata « … per estinguere il debito della casa comprata da mons. Gio. Batta Osio per la stampa … ». Dopo altri sette fogli è trascritta l’uscita di 248 lire che corrispondono al « … pretio de risme n. 75 carta da stampa datta per il Seminario da 13 gennaio sin al di d’ogi come più chiaro appare alla partita della detta stamparia … ». Nel retro di questo foglio ecco apparire il nome di «mons. Michel Tini stampatore del Venerabile Seminario», il quale « … de dar a di primo gennaio 1579, 708 lire sono per tanti si fano boni alla mensa Archiepiscopale; qual gli ha fatto rimetere in Venetia per lui per comprar li caratteri per la stampa de qual suma se ne è datto credito a detta mensa in libro bianco … ». Dando un senso compiuto a queste affermazioni: lo stampatore Tini doveva rifondere le casse arcivescovili del prestito ottenuto per acquistare i caratteri a stampa fatti arrivare da Venezia, all’epoca uno dei centri più importanti dell’arte della stampa.

Ma chi era Michele Tini (che compare nelle sue edizioni anche come «Michael Thinus», «Michael Tinus», «Michele Tino» o «Michel Tini stampatore del seminario»)? Un monsignore originario di Sabbio Chiese presso Brescia che si dedicherà alla nuova arte della tipografia a Milano dal 1568 al 1594, figlio di Giovanni e fratello di Battista e Comino.

Agli studiosi della storia tipografica italiana, il Tini è conosciuto per le sue edizioni religiose stampate in rosso e nero firmate come «Typographus Seminari» e con il motto «Ad signum Famae». Lavorò sia da solo che in società con Giacomo Piccaglia nel 1580 firmando l’edizioni stampate come: «Michele Tini & Giacomo Piccaia stampatori del Seminario», e stampò spesso per i cugini gli altri Tini i fratelli Francesco, Simone e Pietro quest’ultimo editore e libraio attivo a Milano (con Michele e nella tipografia dei Da Ponte), Piacenza (dove utilizzò la tipografia di Giovanni Bazachi) e Venezia (di quelle di Giovanni Antonio Bertano, Girolamo Polo, Giacomo Vincenzi e Riccardo Amadino). Michele aveva bottega all’insegna della Fama. In un’edizione del 1584 compare il marchio della sirena e la leggenda: «Si vendono alla libreria de la Serena», gestita da Michele insieme con Francesco e Simone.

Giacomo Piccaglia fu attivo come tipografo prima a Venezia dal 1569 al 1570 e poi a Milano dal 1579 al 1590; lavorò da solo e in società oltre con Michele Tini, anche con Pacifico da Ponte e Graziadio Ferioli (Feriolo) a Milano e con Giovanni Maria Leni a Venezia. Non si sa se avesse rapporti di parentela con Giovanni Picaia, attivo a Venezia nel 1538.

Ma tornando alla tipografia del Seminario milanese è noto che essa ha un proprio edificio (la casa comprata da mons. G. B. Osio), un proprio titolare (Michele Tini) e con gli elementi indispensabili per una tale attività, ossia lettere mobili per la stampa e carta su cui stampare. Dal già citato “Libro Mastro”, inoltre, ci si può istruire sulla produzione di questa tipografia. Dai torchi uscivano calendari liturgici, spiegazioni per la S. Messa, testi con le litanie, il memoriale che San Carlo Borromeo scrisse ai milanesi dopo la peste del 1576-77, l’Ufficio della Madonna, il testo del Concilio Provinciale IV e V, le prediche in più volumi di un autore allora molto letto, il domenicano Ludovico Granata.

Accanto alla produzione, c’era un’attività di commercio. Lo stampatore Tini non lavorava solo per il Seminario, ma teneva parte del prodotto, per poi rivenderlo.

Alcuni librai di Milano, come i fratelli Besozzi e Gerolamo Giussani, acquistavano all’ingrosso per poi rivendere il prodotto a privati.

La produzione della tipografia seminariale però durò poco tempo in quanto, come risulta da diversi documenti, risultava come voce passiva per l’economia del Seminario.

Alla situazione di deficit si aggiunse quanto maturò nei giorni di Carnevale, sempre del 1580. Allora, il Cardinale Carlo Borromeo inflisse la scomunica a tutti coloro che avevano prolungato il Carnevale sino alla prima domenica di Quaresima, disturbando le funzioni religiose del Duomo. Poiché le cedole di scomunica erano state stampate da Michele Tini, costui e i suoi aiutanti vennero incarcerati e i locali della tipografia furono tenuti sotto sequestro per i conflitti che intercorsero tra l’Arcivescovo e le autorità governative. Le trattative che seguirono furono lunghe e snervanti, scoraggiando del tutto i responsabili del Seminario a mantenere la tipografia. Così venne venduta in blocco allo stesso stampatore Michele Tini, che continuò l’attività per altri 20-30 anni.

Nella sua brevità, la storia della tipografia del Seminario è significativa in quanto segnala la sensibilità del Cardinale Borromeo nell’utilizzo e controllo dei mezzi di comunicazione.

Fonte: La Fiaccola 01/2008 – Don Umbero Dell’Orto