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Type Video: History of Type

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Seppur corto, 2 minuti circa, questo filmato prodotto da uno studente americano della Alexandre Graham Bell School di Chicago illustra molto male la storia dei caratteri fino a quasi i giorni nostri.

Infatti tale filmato è pieno di errori, provate a scovarli!

Scritto da Giò

settembre 24th, 2008 at 11:33

Gutenberg e il Professore

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Prendendo spunto dai sempre più “caldi” commenti al mio post «I caratteri mobili di legno e l’invenzione della stampa» dello scorso 22 febbraio dove si dibatte sulla paternità dell’invenzione dei caratteri mobili e di conseguenza della stampa tra Gutenberg, Castaldi e altri, riporto, per meglio illustrare le argomentazioni scaturite in tali commenti l’origine del “contendere” nate in un convegno tenuto a Genova nel novembre 2004 dal titolo “G come Genova, Gutenberg, Gates” dove venne presentata la teoria del Prof. Bruno Fabbiani e dove si accese un animato dibattito sulle “vecchie teorie”. Dibattito che proseguì nel 2005 presso il Centro di studi grafici a Milano.

In questo nuovo post pubblico, per gentile concessione dell’autore, l’articolo scritto da James Clough per la rivista Graphicus (dicembre 2004) dove si contrattaccano le teorie del Prof. Bruno Fabbiani sulla tecnica (metallografia), anziché quella che la storia attribuisce a Gutenberg come inventore di caratteri mobili.

Scrive James Clough: «Purtroppo, ed è con sincero dispiacere che lo dico, nella teoria di Fabbiani non c’è un solo grammo di verità provata. Ogni “prova” presentata con l’intento di convincere i lettori di Graphicus della validità della teoria, rivela non solo un’estrema superficialità di metodo, ma si offre, pure, a una serie di contestazioni che suscitano seri dubbi sulla conoscenza che Fabbiani ha della tipografia. Nonostante non possa considerarmi un esperto di storia dei primissimi anni dei lavori di stampa in Germania, certo è che studio la tipografia e la sua storia da più di venticinque anni. Credo che le mie limitate conoscenze, insieme a qualche approfondimento sulle ricerche correnti relative alla B42 all’estero, siano sufficienti a svolgere l’occorrente, ma poco gratificante, compito di inserire lo spillo e fare scoppiare il palloncino innalzato da Fabbiani».

La teoria di Fabbiani

Prosegue James Clough nel suo articolo: «Per il poco spazio disponibile, in questa occasione mi limiterò a discutere le principali “prove” di Fabbiani relativamente alle questioni di tecnica tipografica. Ma prima di andare al nocciolo del discorso, vorrei riassumere velocemente la teoria in questione. Il Professore dice che Gutenberg non componeva le righe della B42 con caratteri mobili, ma che la composizione veniva eseguita con la battitura, lettera dopo lettera e riga dopo riga, con punzoni d’acciaio dentro una “matrice-madre” di metallo tenero. Sulla matrice di un’intera colonna di testo veniva versato piombo fuso per ottenere la forma di stampa con le lettere in rilievo da inchiostrare e stampare successivamente. Questa, in essenza, è la teoria della metallografia che Fabbiani propone. Occorre pure, a questo punto, spendere qualche parola di chiarezza sulla tecnica della metallografia. Credo che chiunque abbia letto gli articoli di Fabbiani si sia fatta l’idea che fosse stato lo stesso Professore a inventare la suddetta teoria. Non è così: in un articolo sul Gutenberg Jahrbuch del 1930 Maurice Audin spiega la tecnica e suggerisce la possibilità che sia stata adoperata in maniera sperimentale e transitoria; ma escludendo categoricamente l’ipotesi di un suo utilizzo per la stampa di un libro, precisamente per i motivi che qui di seguito verranno spiegati».

(Fig. 1) Illustrazione di Fabbiani pubblicata da Graphicus (ottobre, 2003). Il Professore spiega le deformazioni delle aste dentro le zone cerchiate come effetto della punzonatura. GRAPHICUS n° 1002, pag. 88, illustr. N. 6

(Fig. 2) Una matrice in rame con un gonfiamento dovuto allo spostamento di metallo a seguito della battitura del punzone di acciaio.

Deformazioni

Nell’articolo di Graphicus 1002 (novembre 2003) troviamo due illustrazioni particolarmente eloquenti in quanto ci rivelano della confusione che giace alla base della teoria di Fabbiani. Il Professore presenta alcune lettere ingrandite prese dalla B42 (fig. 1). Ecco cosa si legge nella sua didascalia: Le zone cerchiate indicano le deformazioni delle aste dei caratteri adiacenti a causa della modificazione superficiale della matrice in metallo, per effetto della punzonatura. Emergono subito due osservazioni: uno sguardo a un’illustrazione di una matrice in rame, usata per fondere un politipo (fig. 2), evidenzia le inevitabili deformazioni conseguenti alla battitura con martello di un punzone di acciaio dentro un blocco di rame.

Per seguire la teoria di Fabbiani, non credo, invece, sia possibile battere i punzoni, uno dopo l’altro e inoltre vicinissimi (come le lettere nella B42) con la necessaria profondità, e provocare soltanto una piccola “modificazione superficiale”: la punzonatura di ogni successiva lettera deformerebbe sempre (e non occasionalmente e marginalmente) quella appena punzonata. Anche accettando – per un momento – la teoria di Fabbiani e osservando la i dentro il primo cerchio e la s antica dentro il secondo, la i sarebbe stata punzonata dopo la c e la s dopo la r; pertanto sarebbero la c e la r a subire le deformazioni e non la i e la s come vediamo: si compone – presumo perfino con i punzoni di Fabbiani – da sinistra a destra!

La crenatura

Sulla stessa pagina di Graphicus troviamo un’altra illustrazione interessante (fig. 3). Vale la pena citare anche qui la didascalia di Fabbiani: … Riproduce la ricostruzione della composizione in caratteri mobili della B42. L’incastro tra le lettere discendenti ed ascendenti, che superano in altezza le dimensioni degli altri caratteri dimostrano che tale incastro non è compatibile con i “tipi fusi”, ma tale innesto è possibile solo con la metallografia. Quello che Fabbiani chiama “incastro” in gergo tipografico è una “crenatura”, vale a dire una sporgenza di una parte di una lettera sulla spalla di un carattere adiacente. In questo caso si tratta di una crenatura verticale che, al contrario di quanto dice Fabbiani – sebbene rara nella storia della tipografia – è tutt’altro che impossibile, come dimostra questo dettaglio preso da un corsivo tipografico di Pierre Simon Fournier del 1749 (fig. 4). Il Professore dimentica di segnalare la fonte da cui proviene la sua illustrazione. Presumiamo sia tratta dalla foto della ricostruzione del carattere B42 nel libro «Die technik Gutenbergs und ihre Vorstufen» (fig. 5) di Aloys Ruppel (Direttore del Museo Gutenberg di Magonza dagli anni trenta fino agli anni cinquanta).

Paradossalmente questa illustrazione che Fabbiani mostra ci rivela esattamente quello che egli sostiene sia impossibile!

(Fig. 3) Illustrazione di Fabbiani raffigurante la ricostruzione del carattere B42 riportata da Graphicus (ottobre, 2003). GRAPHICUS n° 1002, pag. 88, illustr. N. 4

(Fig. 4) Un corsivo tipografico di Pierre Simon Fournier del 1749 con qualche esempio di crenature verticali

(Fig. 5) Ricostruzione del carattere B42 del Museo Gutenberg, tratto dal libro Die technik Gutenbergs und ihre Vorstufen di Aloys Ruppel – possibile fonte dell’illustrazione di Fabbiani (3)

(Fig. 6) Il brano di testo della B42 (Proverbi 1.13), corrispondente al dettaglio della ricostruzione del carattere B42 (illustrazioni 3 e 5).

(Fig. 7) Illustrazione di Fabbiani tratta da Graphicus (marzo, 2004) che mostra alcune lettere ingrandite del “Frammento di Strasburgo”.

Dalla didascalia di Fabbiani leggiamo: L’andamento scalare senza che le altre righe, superiori e inferiori, modificano il loro orientamento, la qual cosa fa dubitare che il frammento non è stato composto con caratteri mobili in quanto non vi è alcuna ragione tecnica o estetica che giustifichi tale andamento.

GRAPHICUS n° 1005, pagina 73, illustr. N. 6

(Fig. 8 ) Illustrazione di Fabbiani riportata da Graphicus (marzo, 2004) raffigurante la “verifica sperimentale” del Professore eseguita con caratteri industriali. Nella sua didascalia Fabbiani scrive: Questa verifica sperimentale dimostra che il “Frammento di Strasburgo” non è stato composto con i caratteri mobili. GRAPHICUS n° 1005, pagina 73, illustr. N. 8 (rif. 3)

a

Una q e una b

A proposito sempre di questa particolare illustrazione (fig. 3), sono rimasto perplesso all’idea che Gutenberg avesse veramente adoperato le crenature verticali. Dopo aver interpellato e incuriosito lo storico della tipografia James Mosley, la verità è rapidamente emersa.

Mosley è riuscito a trovare il testo esatto della B42 (fig. 6) corrispondente alla combinazione delle lettere nell’illustrazione di Fabbiani, e la ricostruzione del carattere B42 del Museo Gutenberg.

Dalla prima riga, nell’ultima parola a destra leggiamo: Omnem pretiosam substantiam reperiemus.implebimus domus nostras spoliis – (Proverbi 113). Il dettaglio che Fabbiani mostra è la q di quasi della riga precedente insieme all’abbreviata prima parte di substantiam (una b con una “bandiera” sull’asta). Questa immagine dimostra che il vero carattere della B42 non aveva una crenatura verticale e la ricostruzione a Magonza non è fedele in questo dettaglio.

Il “Frammento di Strasburgo”

In un successivo articolo su Graphicus (1005, marzo 2004) Fabbiani applica la sua teoria al cosiddetto “Frammento di Strasburgo”. Si tratta di un frammento del Giudizio Universale proveniente dal Sibyllenbuch, senza data e senza alcuna indicazione sulla presunta stampa a Strasburgo – durante l’esilio di Gutenberg – malgrado la certezza di Fabbiani. Possiamo solo supporre che il “Frammento” è anteriore alla B42 e che fu stampato da Gutenberg: il carattere è un gotico simile a quello della B42, sebbene meno evoluto, e il testo non è giustificato. Ritorno a una delle illustrazioni di Fabbiani del “Frammento” (fig. 7): un ingrandimento di un dettaglio dello stampato. In riferimento a questa e altre illustrazioni simili, Fabbiani parla di … una inspiegabile scalarità dei caratteri che sarebbe “incongruente” con la tipografia: Se il testo fosse stato composto con caratteri mobili la loro scalarità verticale si sarebbe ripercossa sui caratteri sottostanti o sovrastanti in quanto i parallelepipidi costituenti i singoli caratteri non sono elastici e quindi non possono compensare i loro fuori allineamento.

Per enfatizzare l’idea che “l’andatura scalare” delle lettere evidente nel “Frammento” sia incompatibile con la tipografia – e quindi attribuibili alla metallografia – Fabbiani ci intrattiene con una lezione di tipografia. I caratteri della sua illustrazione (fig. 8 ) sono simili per stile a quelli usati per stampare il “Frammento”. Ma le similarità con quelli del “Frammento” non vanno oltre a questa semplice osservazione; non provengono da una forma a mano, ma da una fonditrice meccanica; e saranno stati selezionati dalla fonderia prima della vendita al tipografo. Sono prodotti industriali perfetti: il risultato di secoli di progresso tecnologico. Fabbiani offre parametri industriali per spiegare una tecnica artigianale, sperimentale e di conseguenza imperfetta; un fatto di tipografia medioevale accaduto almeno quattrocento anni prima dei caratteri dell’illustrazione.

La fusione a mano

Benché la memoria storica dei fonditori che lavoravano con le forme a mano per produrre caratteri mobili sia scomparsa da diverse generazioni, in un libro del 1887, A «History of the Old English letter foundries» di Talbot Baines Reed, proprietario di una fonderia tipografica londinese, c’è una spiegazione che si contrappone a quella di Fabbiani circa la questione del “l’andatura scalare” e le altre imperfezioni rilevate dal Professore nel “Frammento”. Resta superfluo ricordare che Reed sottoscrive la tradizionale attribuzione a Gutenberg dell’invenzione di caratteri mobili. Ecco la mia traduzione di un paragrafo del suo libro: Chiunque conosca la procedura di fusione di caratteri in forme a mano sa che il lavoro è difficile. Con una sola forma e una sola matrice, un abile fonditore sarebbe in grado di produrre diciannove caratteri perfetti su venti, mentre un altro maldestro fonditore a mala pena potrebbe produrre un solo carattere perfetto su venti. Diverse lettere richiedono diversi movimenti manuali per indurre il metallo a passare dentro ogni interstizio della matrice; è pure possibile che un fonditore possa avere “fortuna” nel suo lavoro un giorno e produrre caratteri difettosi il giorno dopo. Naturalmente nei tempi moderni [1887], solo caratteri perfetti arrivano nelle mani degli stampatori, ma all’inizio, con una matrice deperibile, si doveva tenere e usare ogni carattere fuso; la selezione sarebbe stata meno severa e si permetteva l’utilizzo di caratteri tanto diversi dal loro modello originale quanto uno dall’altro. […] Lasciate che chiunque senza esperienza provi a fondere venti caratteri gotici da una sola forma e matrice; poi lasciatelo fare una prova di stampa dei caratteri così prodotti. Il risultato di tale sperimento avrebbe l’effetto di farci smettere per sempre di chiedere il perché delle irregolarità evidenti nella Bibbia di Gutenberg… Queste parole insieme all’immagine di lettere fuse e stampate nella fonderia di Reed (fig. 9) – senza alcuna selezione da parte del fonditore, e con ciascuna lettera proveniente da una sola matrice – mi sembrano piuttosto esaustive nella loro chiarezza.

(Fig. 9) Illustrazione tratta da A History of the Old English letterfoundries di Talbot Baines Reed dove si mostrano i risultati di cattive fusioni di lettere tipografiche. Anche qui si nota “l’andatura scalare” che Fabbiani ritiene sia incompatibile con la tipografia.

Ricerche attuali

Negli articoli scritti da Fabbiani relativi a Gutenberg, l’assenza di un solo riferimento bibliografico, insieme a una fastidiosa ma chiara impressione trasmessa ai lettori che solo Fabbiani si occupi scientificamente della B42, aggiungono ulteriore tristezza alla querelle. Da un articolo di Fabbiani (Graphicus 1000 del settembre 2003) leggiamo: Molti libri sono stati scritti su questa Bibbia e su altre opere di Gutenberg, ma nessuno mai fino a oggi, salvo prova contaria, ha analizzato a fondo quest’opera… Un’affermazione che trova spiegazione, forse, nella non consapevolezza da parte di Fabbiani delle ricerche piú aggiornate. È vero che nessuno ha ancora finito di analizzare “a fondo” la B42; ma è possibile che ricerche di studiosi quali Lotte Hellinga (British Library), Paul Needham (Princeton University) e Cornelia Schneider (Museo Gutenberg), per menzionare solo tre personaggi ancora vivi e che fanno ricerche da diversi decenni, siano sconosciuti a Fabbiani? Lui che, se non vado errato, ha iniziato le sue ricerche sui lavori di Gutenberg appena nel 2003!

Le correzioni

Per chi rimane ancora con qualche dubbio vorrei discutere una ricerca di Mari Agata che è stata pubblicata sul «Papers of the Bibliographical Society of America» (vol. 97, giugno 2003). La ricercatrice ha scritto una prima relazione sull’analisi comparativa di 158 carte del 1° volume della B42: ha potuto avvalersi della copia della B42 della Cambridge University Library e quella presso la Biblioteca dell’Università di Keio. Usando Photoshop per la sovrimpressione dei testi delle stesse pagine delle due copie, oltre a quelle già rivelate da altri studiosi, ben venti piccole differenze – difficilissime da rilevare a occhio nudo – sono emerse. Un controllo eseguito su altre dodici copie della B42 ha rivelato che ogni copia riporta o la versione del testo di Cambridge o quella di Keio. Scegliamo un solo esempio di queste piccole correzioni (fig. 10) dal primo volume della B42, foglio 264r, colonna a sinistra; una piccolissima differenza appare nella seconda riga dell’illustrazione: nella copia Keio lo spazio tra i due punti (dopo la seconda parola) e l’abbreviazione (et) è maggiore di quello della copia Cambridge. Se la copia Keio rappresenta lo stato iniziale, è possibile che il cambiamento fu eseguito per correggere la giustificazione; effettivamente, la riga della copia Cambridge presenta una giustificazione migliore. Nel periodo della stampa con il torchio a mano se un errore o un refuso veniva notato in un foglio appena stampato, i tipografi si fermavano brevemente a correggerlo. Infatti, correggere piccoli e meno piccoli errori di questo genere con la tipografia era facilissimo: in questo particolare caso bastava aprire la forma, prendere un paio di pinze, cambiare la posizione di uno spazio e chiudere la forma: trenta secondi di lavoro. Fabbiani può spiegare come si poteva correggere con la metallografia? E soprattutto, può darci un’idea di quanto tempo ci voleva e se quel dispendio di tempo era in qualche maniera proporzionale all’importanza di un “errore” di giustificazione praticamente trascurabile come questo?

(Fig. 10) Le due illustrazioni provengono da una ricerca di Mari Agata sul Papers of the Bibliographical Society of America (vol. 97, giugno 2003). Lo stesso brano di testo di due copie della B42 (Quella di Keio in alto e quella di Cambridge, sotto) dimostra una differenza di spaziatura nelle due copie: nella seconda riga, tra i due punti (dopo la seconda parola) e l’abbreviazione (et).

5) Transizionali – Barocche (Classificazione Novarese)

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Sono così chiamati perché i suoi elementi indicano la transizione tra “romani antichi” e “romani moderni”. Nascono tra la fine del XVII e il XVIII secolo prima in Francia, successivamente in Olanda e Inghilterra e non presentano particolari innovazioni rispetto ai caratteri Veneziani che li hanno preceduti.

Pagine del Champs Fleury, Geoffroy Tory 1529
Pagine del Champs Fleury, Geoffroy Tory 1529

Dalle ricostruzioni geometriche dei Lapidari durante il Rinascimento si arriva ai primi esempi di transizionale francese del «Roman du Roi», creato da Philippe Grandjean nel 1692 su commissione dell’Accademia francese delle scienze dove per la prima volta fu disegnato un corsivo originale.

Romain du Roi disegnato da Philippe Grandjean per il re di Francia Louis XIV, nel 1692
Romain du Roi disegnato da Philippe Grandjean per il re di Francia Louis XIV, nel 1692
Particolare della costruzione della lettera “M” del Roman du Roi

Dai transizionali olandesi come quelli incisi dal punzonista Cristoffel Van Dijck per gli Elsevier fino ai transizionali inglesi, le grazie non hanno quasi mai inclinazioni e si raccordano all’asta verticale con una piccola curva, mentre la base della grazia è completamente piatta.

Lo specimen del DTL Elzevir disegnato da Gerard Daniëls, basandosi sui caratteri di Christoffel van Dijck 1660
Lo specimen del DTL Elzevir disegnato da Gerard Daniëls, basandosi sui caratteri di Christoffel van Dijck 1660

In questo carattere l’asse verticale non è più inclinato ma perpendicolare alla base come nelle lettere “o”, “O”, “Q”. La “C”, la “G” e la “S” hanno il rostro molto pronunciato e le differenze tra fine e grosso sono più accentuate come è più accentuato il contrasto tra i pieni e i vuoti. I transizionali sono caratterizzati da un contrasto più pronunciato fra aste verticali e orizzontali rispetto ai romani antichi. L’asse, è quasi verticale. L’allineamento superiore della “T” non è più sporgente.

Dal punto di vista della leggibilità stanno alla pari dei Veneziani, però sono più adatti per le riproduzioni in considerazione delle grazie leggermente più accentuate rispetto ai tipi precedenti: virtù eccellente per sopperire alle naturali deformazioni fotografiche. Sono apprezzati e sempre in primo piano per qualsiasi applicazione e sono anche più resistenti, come caratteri a piombo, all’usura delle lunghe tirature tipografiche.

Lo specimen dei caratteri di William Caslon. Questi caratteri di derivazione dai transizionali olandesi sono stati molto popolari e utilizzati per molti importanti stampati della epoca, incluso la prima versione stampata della Dichiarazione dIndipendenza degli Stati Uniti. They fell out of favour in the century after his death, but were revived in the 1840s, and Caslon-inspired typefaces are still widely used today.
Lo specimen dei caratteri di William Caslon. Questi caratteri di derivazione dai transizionali olandesi sono stati molto popolari e utilizzati per molti importanti stampati dell’epoca, incluso la prima versione stampata della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti.

Per la composizione tipografica di libri (quali romanzi, saggi, narrativa, ecc.), il carattere più consigliato e meglio riuscito è il «Baskerville», disegnato dall’inglese John Baskerville (1706-1775), artista, disegnatore di caratteri e stampatore seguendo i suggerimenti del suo contemporaneo William Caslon (1692-1766) autore del carattere ononimo «Caslon», accentuando ulteriormente i contrasti d’asta e rendendo più eleganti i raccordi con il risultato di un carattere molto leggibile.

Del carattere del Baskerville esiste in commercio una versione ridisegnata che prende nome di «New Baskerville».

Frontespizio della Bibbia stampata da John Baskerville nel 1763
Frontespizio della Bibbia stampata da John Baskerville nel 1763

Esempio di carattere per i testi da quotidiano è il «Times» disegnato da Stanley Morison (1889-1967) per il quotidiano londinese “The Times” nel 1932 basandosi sul «Plantin», dal nome dello stampatore francese Christophe Plantin (1520-1589).

Specimen del New Century Schoolbook
Specimen del New Century Schoolbook

Per la composizione tipografica di libri di testo scolastico il carattere più consigliato è il «New Century Schoolbook», basato sul «Century» disegnato da Linn Boyd Benton nel 1895, per la sua leggibilità anche se meno elegante degli altri della famiglia di classificazione.

Tra i molti Transizionali ricordiamo, oltre ai già citati: «Plantin», «Baskerville», «Caslon», «Century», «New Century Schoolbook» e «Times»; anche: «Granjon», «Palatino», «Aster», «Magister», «Bell», «Bulmer», «Cochin», «Hoefler Text», «New Caledonia», «Perpetua», «Fournier», «ITC Stone Serif», ecc.

4) Veneziani – Rinascimentali (Classificazione Novarese)

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Il ritorno alle forme romane, nelle maiuscole (Subiaco, 1465) derivanti dai caratteri lapidari romani fu il preludio anche all’imitazione delle scritture umanistiche dette “Incunabuli” per il minuscolo dagli stampatori di Venezia che gli disegnavano e incidevano con il bulino.

Si formò così il primo alfabeto tipico, il quale – dopo il perfezionamento acquisito, dovuto ai prototipografi dell’epoca – trovò in Venezia l’ambiente ideale per la sua diffusione nel mondo. E ciò fu dovuto alle forme dei caratteri dei fratelli Da Spira, Griffo, Paganini, Ratdolt e, specialmente, di Nicholas Jenson.

Il tondo di Nicholas Jenson (1470)
Il tondo di Nicholas Jenson (1470)
Pagina tratta dal libro «Laertii Diogenis Vitae et sententiae eorum qui in philosophia probati fuerunt» stampato nel 1475 da Nicholas Jenson
Pagina tratta dal libro «Laertii Diogenis Vitae et sententiae eorum qui in philosophia probati fuerunt» stampato nel 1475 da Nicholas Jenson

Il carattere più utilizzato e armonioso di questa famiglia è, senza dubbio, il «Garamond», disegnato dallo stampatore francese Claude Garamond (1480-1561) “copiando” i caratteri sia dell’incisore di punzoni bolognese Francesco Griffo (1400-1500) per il «De Aetna» di Pietro Bembo (1495), tale carattere prenderà il nome di «Bembo», sia il carattere ononimo del francese Nicholas Jenson (1470). Il Griffo, che fu il primo a produrre ed utilizzare un corsivo da stampa, lavorava, a Venezia, per Aldo Manuzio (1450-1515) e inciderà anche il carattere per «l’Hypnerotomachia Poliphili» (1499) che prenderà la denominazione di «Poliphilus Roman», per la forma tonda e «Blado Italic» per quella corsiva.

Prima pagina di testo del «De Aetna» di Pietro Bembo (1495) con il carattere di Francesco Griffo

Prima pagina di testo del «De Aetna» di Pietro Bembo (1495) con il carattere di Francesco Griffo

Francesco Colonna
Francesco Colonna «l’Hypnerotomachia Poliphili» (1499) stampato da Aldo Manuzio con i caratteri di Francesco Griffo
Uno specimen di carattere “aldino” di Francesco Griffo (1499)
Uno specimen di carattere “aldino” di Francesco Griffo (1499)

Caratteristiche nel disegno delle lettere sono la presenza dell’asse verticale inclinata nettamente da 30° fino a 45° all’indietro; il contrasto tra i pieni ed i filetti è debole; le grazie hanno una forma arrotondata con la base concava; le differenze di spessore tra le aste verticali e le aste oblique sono più accentuate e, anche nelle lettere tonde; i rapporti di sottile e largo sono più accentuati; il filetto traversale della è inizialmente obliquo per poi trasformarsi in orizzontale.

Claude Garamond sarà il primo a disegnare il maiuscolo corsivo e ad utilizzare il corsivo insieme al tondo, come si fa attualmente, e non in alternativa come faceva il Manuzio.

Il corsivo del carattere disegnato da Claude Garamond (1540)
Il corsivo del carattere disegnato da Claude Garamond (1540)

Il «Garamond», del quale esistono numerose e differenti forme presenti sul mercato, alcune delle quali che nulla hanno a che fare con il disegno originale (i più fedeli ai punzoni originali sono: «Adobe Garamond» e «Garamond Simoncini», mentre la versione «ITC Garamond» è completamente distante dalle forme che dovrebbe rappresentare), è usatissimo nella composizione dei testi dei libri, nelle pubblicità, ecc.

Molto bello è il corsivo minuscolo di questo carattere, che si lega molto bene alle illustrazioni e dà all’insieme un’aria molto classica e pulita.

L’utilizzo di questi caratteri prevedevano, anche nel testo corsivo l’utilizzo delle maiuscole tonde fino alla metà del XVI secolo (nelle versioni ridisegnate per la tipografia moderna e la digitalizzazione non viene rispettata questa regola stilistica utilizzando come maiuscolo un “falso corsivo” storico).

Oltre alle varie versioni del «Garamond» esistono in commercio altri tipi digitalizzati di Veneziani: «Bembo», «Poliphilus Roman» «Blado Italic», «Jenson», «Garaldus», «ITC Galliard», «Golden», «Caledonia», «Centaur», «De Roos», «Elzevir», «Sabon», «Vendôme», «Romulus», «Trajanus», «Meno», «Minion», «Van Dijck», «Bitstream Iowan Old Style», «Serlio», «Aurelia», «Dante», «GFT Venexiano». ecc.

Vari tipi di Garamond prodotti da differenti fonderie che variavano leggermente o grossolanamente il disegno per aggirare le problematiche legate al copyright
Vari tipi di Garamond prodotti da differenti fonderie che variavano leggermente o grossolanamente il disegno per aggirare le problematiche legate al copyright
Corsivi del Vicentino di Ludovico Arrighi (1524 - 1526)
Corsivi del Vicentino di Ludovico Arrighi (1524 – 1526)

1) Lapidari – Romani Antichi (Classificazione Novarese)

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Sono i caratteri con grazie nati come prodotto architettonico per le iscrizioni dei monumenti (da qui il nome Lapidario) ed avevano origine di costruzione dal quadrato “capitalis quadrata” nell’epoca di Augusto e di Traiano.
Inizialmente i lapidari non avevano le grazie ed erano simili agli attuali lineari. Le grazie nasceranno come esigenza tecnica nel tracciare con il pennello le lettere prima di scalfire la pietra.

Primo lapidario romano del I secolo a. C. Da queste forme nasceranno alla fine del XIX secolo i caratteri Lineari
Primo lapidario romano del I secolo a. C. Da queste forme nasceranno alla fine del XIX secolo i caratteri Lineari

Ottimi esempi delle maiuscole quadrate usate per le iscrizione possono essere osservate nel Pantheon, nella Colonna Traiana e nell’Arco di Tito, tutti monumenti situati in Roma.

Esempio tipico di lapidario perfetto, ed inesauribile fonte di studi e di imitazioni, lo si può ammirare in una stele del basamento della Colonna Traiana, eretta nell’anno 114 nel Foro Traiano di Roma.
Esempio tipico di lapidario perfetto, ed inesauribile fonte di studi e di imitazioni, lo si può ammirare in una stele del basamento della Colonna Traiana, eretta nell’anno 114 nel Foro Traiano di Roma.

Particolare riconoscibile delle grazie è che terminano formando un angolo di 30° e la base, o vertice inferiore, è completamente piatta.
Nella (N) la differenza di spessore tra l’asta obliqua e le aste verticali è poco accentuata, così come nelle traversali della (V) e della (A). Le lettere rotonde come la (O), la (Q) e la (S) hanno un rapporto di largo e sottile, molto delicato e armonioso.
Oltre ad essere “semplicemente” incisi, i lapidari romani per grandi iscrizioni erano riempiti da lettere in bronzo, poi divelte durante il Medioevo e il Rinascimento dai Papi per ricavare il bronzo per fare armi. Esempi di ciò sono visibili nelle lapidi poste sopra gli archi romani dove rimane lo “scheletro” di ciò che era in precedenza.

Capitale quadrata lapidaria presente sullArco di Tito, circa 81 d.c., un esempio di maiuscola romana i cui caratteri erano originariamente in bronzo, si notano infatti i fori per inserire le lettere metalliche.
Capitale quadrata lapidaria presente sull’Arco di Tito, circa 81 d.c., un esempio di maiuscola romana i cui caratteri erano originariamente in bronzo, si notano infatti i fori per inserire le lettere metalliche.
Il Pantheon è stato edificato sotto Adriano; Imperatore di Roma nel 118 A.D. Nella facciata compare liscrizione in capitale romana: M·AGRIPPA·L·F·COS·TERTIVM·FECIT, che significa Marcus Agrippa, figlio di Lucius, costruito durante il terzo consolato.
Il Pantheon è stato edificato sotto Adriano; Imperatore di Roma nel 118 A.D. Nella facciata compare l’iscrizione in capitale romana: ‘M·AGRIPPA·L·F·COS·TERTIVM·FECIT’, che significa ‘Marcus Agrippa, figlio di Lucius, costruito durante il terzo consolato’.

Nei caratteri Lapidari non esistono molte serie tipografiche, sia come caratteri a “piombo”, sia digitalizzate in quanto non “disegnati” per tale scopo; nonostante ciò il «Trajan», disegnato da Carol Twombly nel maiuscolo e maiuscoletto è il miglior esempio tra i digitalizzati e si basa proprio sul disegno delle lettere incise sulla lapide nel basamento della Colonna Traiana (vedi sopra).

Altri caratteri basati sui lapidari romani sono «Augustea» di Alessandro Butti e «Nova-Augustea», disegnato da Aldo Novarese (con l’aggiunta del minuscolo inesistente fino al IX secolo) che hanno il pregio di mantenere integra la fisionomia delle maiuscole del Lapidario romano in tutta la bellezza espressiva.

Ulteriore esempio di carattere derivante dal lapidario e che mantiene di esso la sua fisionomia nel maiuscolo è il «Meridien» della Monotype.

Questi caratteri sono adatti per la titolazione nell’edizioni tipografiche di lusso, per opere bibliofile, lavori di pregio e per comunicare il periodo storico (lettering per titolazione cinematografica, manifesti, ecc.); la classicità del disegno castigato e solenne, mal si addice ad altri adattamenti.