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Gutenberg e il Professore

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Prendendo spunto dai sempre più “caldi” commenti al mio post «I caratteri mobili di legno e l’invenzione della stampa» dello scorso 22 febbraio dove si dibatte sulla paternità dell’invenzione dei caratteri mobili e di conseguenza della stampa tra Gutenberg, Castaldi e altri, riporto, per meglio illustrare le argomentazioni scaturite in tali commenti l’origine del “contendere” nate in un convegno tenuto a Genova nel novembre 2004 dal titolo “G come Genova, Gutenberg, Gates” dove venne presentata la teoria del Prof. Bruno Fabbiani e dove si accese un animato dibattito sulle “vecchie teorie”. Dibattito che proseguì nel 2005 presso il Centro di studi grafici a Milano.

In questo nuovo post pubblico, per gentile concessione dell’autore, l’articolo scritto da James Clough per la rivista Graphicus (dicembre 2004) dove si contrattaccano le teorie del Prof. Bruno Fabbiani sulla tecnica (metallografia), anziché quella che la storia attribuisce a Gutenberg come inventore di caratteri mobili.

Scrive James Clough: «Purtroppo, ed è con sincero dispiacere che lo dico, nella teoria di Fabbiani non c’è un solo grammo di verità provata. Ogni “prova” presentata con l’intento di convincere i lettori di Graphicus della validità della teoria, rivela non solo un’estrema superficialità di metodo, ma si offre, pure, a una serie di contestazioni che suscitano seri dubbi sulla conoscenza che Fabbiani ha della tipografia. Nonostante non possa considerarmi un esperto di storia dei primissimi anni dei lavori di stampa in Germania, certo è che studio la tipografia e la sua storia da più di venticinque anni. Credo che le mie limitate conoscenze, insieme a qualche approfondimento sulle ricerche correnti relative alla B42 all’estero, siano sufficienti a svolgere l’occorrente, ma poco gratificante, compito di inserire lo spillo e fare scoppiare il palloncino innalzato da Fabbiani».

La teoria di Fabbiani

Prosegue James Clough nel suo articolo: «Per il poco spazio disponibile, in questa occasione mi limiterò a discutere le principali “prove” di Fabbiani relativamente alle questioni di tecnica tipografica. Ma prima di andare al nocciolo del discorso, vorrei riassumere velocemente la teoria in questione. Il Professore dice che Gutenberg non componeva le righe della B42 con caratteri mobili, ma che la composizione veniva eseguita con la battitura, lettera dopo lettera e riga dopo riga, con punzoni d’acciaio dentro una “matrice-madre” di metallo tenero. Sulla matrice di un’intera colonna di testo veniva versato piombo fuso per ottenere la forma di stampa con le lettere in rilievo da inchiostrare e stampare successivamente. Questa, in essenza, è la teoria della metallografia che Fabbiani propone. Occorre pure, a questo punto, spendere qualche parola di chiarezza sulla tecnica della metallografia. Credo che chiunque abbia letto gli articoli di Fabbiani si sia fatta l’idea che fosse stato lo stesso Professore a inventare la suddetta teoria. Non è così: in un articolo sul Gutenberg Jahrbuch del 1930 Maurice Audin spiega la tecnica e suggerisce la possibilità che sia stata adoperata in maniera sperimentale e transitoria; ma escludendo categoricamente l’ipotesi di un suo utilizzo per la stampa di un libro, precisamente per i motivi che qui di seguito verranno spiegati».

(Fig. 1) Illustrazione di Fabbiani pubblicata da Graphicus (ottobre, 2003). Il Professore spiega le deformazioni delle aste dentro le zone cerchiate come effetto della punzonatura. GRAPHICUS n° 1002, pag. 88, illustr. N. 6

(Fig. 2) Una matrice in rame con un gonfiamento dovuto allo spostamento di metallo a seguito della battitura del punzone di acciaio.

Deformazioni

Nell’articolo di Graphicus 1002 (novembre 2003) troviamo due illustrazioni particolarmente eloquenti in quanto ci rivelano della confusione che giace alla base della teoria di Fabbiani. Il Professore presenta alcune lettere ingrandite prese dalla B42 (fig. 1). Ecco cosa si legge nella sua didascalia: Le zone cerchiate indicano le deformazioni delle aste dei caratteri adiacenti a causa della modificazione superficiale della matrice in metallo, per effetto della punzonatura. Emergono subito due osservazioni: uno sguardo a un’illustrazione di una matrice in rame, usata per fondere un politipo (fig. 2), evidenzia le inevitabili deformazioni conseguenti alla battitura con martello di un punzone di acciaio dentro un blocco di rame.

Per seguire la teoria di Fabbiani, non credo, invece, sia possibile battere i punzoni, uno dopo l’altro e inoltre vicinissimi (come le lettere nella B42) con la necessaria profondità, e provocare soltanto una piccola “modificazione superficiale”: la punzonatura di ogni successiva lettera deformerebbe sempre (e non occasionalmente e marginalmente) quella appena punzonata. Anche accettando – per un momento – la teoria di Fabbiani e osservando la i dentro il primo cerchio e la s antica dentro il secondo, la i sarebbe stata punzonata dopo la c e la s dopo la r; pertanto sarebbero la c e la r a subire le deformazioni e non la i e la s come vediamo: si compone – presumo perfino con i punzoni di Fabbiani – da sinistra a destra!

La crenatura

Sulla stessa pagina di Graphicus troviamo un’altra illustrazione interessante (fig. 3). Vale la pena citare anche qui la didascalia di Fabbiani: … Riproduce la ricostruzione della composizione in caratteri mobili della B42. L’incastro tra le lettere discendenti ed ascendenti, che superano in altezza le dimensioni degli altri caratteri dimostrano che tale incastro non è compatibile con i “tipi fusi”, ma tale innesto è possibile solo con la metallografia. Quello che Fabbiani chiama “incastro” in gergo tipografico è una “crenatura”, vale a dire una sporgenza di una parte di una lettera sulla spalla di un carattere adiacente. In questo caso si tratta di una crenatura verticale che, al contrario di quanto dice Fabbiani – sebbene rara nella storia della tipografia – è tutt’altro che impossibile, come dimostra questo dettaglio preso da un corsivo tipografico di Pierre Simon Fournier del 1749 (fig. 4). Il Professore dimentica di segnalare la fonte da cui proviene la sua illustrazione. Presumiamo sia tratta dalla foto della ricostruzione del carattere B42 nel libro «Die technik Gutenbergs und ihre Vorstufen» (fig. 5) di Aloys Ruppel (Direttore del Museo Gutenberg di Magonza dagli anni trenta fino agli anni cinquanta).

Paradossalmente questa illustrazione che Fabbiani mostra ci rivela esattamente quello che egli sostiene sia impossibile!

(Fig. 3) Illustrazione di Fabbiani raffigurante la ricostruzione del carattere B42 riportata da Graphicus (ottobre, 2003). GRAPHICUS n° 1002, pag. 88, illustr. N. 4

(Fig. 4) Un corsivo tipografico di Pierre Simon Fournier del 1749 con qualche esempio di crenature verticali

(Fig. 5) Ricostruzione del carattere B42 del Museo Gutenberg, tratto dal libro Die technik Gutenbergs und ihre Vorstufen di Aloys Ruppel – possibile fonte dell’illustrazione di Fabbiani (3)

(Fig. 6) Il brano di testo della B42 (Proverbi 1.13), corrispondente al dettaglio della ricostruzione del carattere B42 (illustrazioni 3 e 5).

(Fig. 7) Illustrazione di Fabbiani tratta da Graphicus (marzo, 2004) che mostra alcune lettere ingrandite del “Frammento di Strasburgo”.

Dalla didascalia di Fabbiani leggiamo: L’andamento scalare senza che le altre righe, superiori e inferiori, modificano il loro orientamento, la qual cosa fa dubitare che il frammento non è stato composto con caratteri mobili in quanto non vi è alcuna ragione tecnica o estetica che giustifichi tale andamento.

GRAPHICUS n° 1005, pagina 73, illustr. N. 6

(Fig. 8 ) Illustrazione di Fabbiani riportata da Graphicus (marzo, 2004) raffigurante la “verifica sperimentale” del Professore eseguita con caratteri industriali. Nella sua didascalia Fabbiani scrive: Questa verifica sperimentale dimostra che il “Frammento di Strasburgo” non è stato composto con i caratteri mobili. GRAPHICUS n° 1005, pagina 73, illustr. N. 8 (rif. 3)

a

Una q e una b

A proposito sempre di questa particolare illustrazione (fig. 3), sono rimasto perplesso all’idea che Gutenberg avesse veramente adoperato le crenature verticali. Dopo aver interpellato e incuriosito lo storico della tipografia James Mosley, la verità è rapidamente emersa.

Mosley è riuscito a trovare il testo esatto della B42 (fig. 6) corrispondente alla combinazione delle lettere nell’illustrazione di Fabbiani, e la ricostruzione del carattere B42 del Museo Gutenberg.

Dalla prima riga, nell’ultima parola a destra leggiamo: Omnem pretiosam substantiam reperiemus.implebimus domus nostras spoliis – (Proverbi 113). Il dettaglio che Fabbiani mostra è la q di quasi della riga precedente insieme all’abbreviata prima parte di substantiam (una b con una “bandiera” sull’asta). Questa immagine dimostra che il vero carattere della B42 non aveva una crenatura verticale e la ricostruzione a Magonza non è fedele in questo dettaglio.

Il “Frammento di Strasburgo”

In un successivo articolo su Graphicus (1005, marzo 2004) Fabbiani applica la sua teoria al cosiddetto “Frammento di Strasburgo”. Si tratta di un frammento del Giudizio Universale proveniente dal Sibyllenbuch, senza data e senza alcuna indicazione sulla presunta stampa a Strasburgo – durante l’esilio di Gutenberg – malgrado la certezza di Fabbiani. Possiamo solo supporre che il “Frammento” è anteriore alla B42 e che fu stampato da Gutenberg: il carattere è un gotico simile a quello della B42, sebbene meno evoluto, e il testo non è giustificato. Ritorno a una delle illustrazioni di Fabbiani del “Frammento” (fig. 7): un ingrandimento di un dettaglio dello stampato. In riferimento a questa e altre illustrazioni simili, Fabbiani parla di … una inspiegabile scalarità dei caratteri che sarebbe “incongruente” con la tipografia: Se il testo fosse stato composto con caratteri mobili la loro scalarità verticale si sarebbe ripercossa sui caratteri sottostanti o sovrastanti in quanto i parallelepipidi costituenti i singoli caratteri non sono elastici e quindi non possono compensare i loro fuori allineamento.

Per enfatizzare l’idea che “l’andatura scalare” delle lettere evidente nel “Frammento” sia incompatibile con la tipografia – e quindi attribuibili alla metallografia – Fabbiani ci intrattiene con una lezione di tipografia. I caratteri della sua illustrazione (fig. 8 ) sono simili per stile a quelli usati per stampare il “Frammento”. Ma le similarità con quelli del “Frammento” non vanno oltre a questa semplice osservazione; non provengono da una forma a mano, ma da una fonditrice meccanica; e saranno stati selezionati dalla fonderia prima della vendita al tipografo. Sono prodotti industriali perfetti: il risultato di secoli di progresso tecnologico. Fabbiani offre parametri industriali per spiegare una tecnica artigianale, sperimentale e di conseguenza imperfetta; un fatto di tipografia medioevale accaduto almeno quattrocento anni prima dei caratteri dell’illustrazione.

La fusione a mano

Benché la memoria storica dei fonditori che lavoravano con le forme a mano per produrre caratteri mobili sia scomparsa da diverse generazioni, in un libro del 1887, A «History of the Old English letter foundries» di Talbot Baines Reed, proprietario di una fonderia tipografica londinese, c’è una spiegazione che si contrappone a quella di Fabbiani circa la questione del “l’andatura scalare” e le altre imperfezioni rilevate dal Professore nel “Frammento”. Resta superfluo ricordare che Reed sottoscrive la tradizionale attribuzione a Gutenberg dell’invenzione di caratteri mobili. Ecco la mia traduzione di un paragrafo del suo libro: Chiunque conosca la procedura di fusione di caratteri in forme a mano sa che il lavoro è difficile. Con una sola forma e una sola matrice, un abile fonditore sarebbe in grado di produrre diciannove caratteri perfetti su venti, mentre un altro maldestro fonditore a mala pena potrebbe produrre un solo carattere perfetto su venti. Diverse lettere richiedono diversi movimenti manuali per indurre il metallo a passare dentro ogni interstizio della matrice; è pure possibile che un fonditore possa avere “fortuna” nel suo lavoro un giorno e produrre caratteri difettosi il giorno dopo. Naturalmente nei tempi moderni [1887], solo caratteri perfetti arrivano nelle mani degli stampatori, ma all’inizio, con una matrice deperibile, si doveva tenere e usare ogni carattere fuso; la selezione sarebbe stata meno severa e si permetteva l’utilizzo di caratteri tanto diversi dal loro modello originale quanto uno dall’altro. […] Lasciate che chiunque senza esperienza provi a fondere venti caratteri gotici da una sola forma e matrice; poi lasciatelo fare una prova di stampa dei caratteri così prodotti. Il risultato di tale sperimento avrebbe l’effetto di farci smettere per sempre di chiedere il perché delle irregolarità evidenti nella Bibbia di Gutenberg… Queste parole insieme all’immagine di lettere fuse e stampate nella fonderia di Reed (fig. 9) – senza alcuna selezione da parte del fonditore, e con ciascuna lettera proveniente da una sola matrice – mi sembrano piuttosto esaustive nella loro chiarezza.

(Fig. 9) Illustrazione tratta da A History of the Old English letterfoundries di Talbot Baines Reed dove si mostrano i risultati di cattive fusioni di lettere tipografiche. Anche qui si nota “l’andatura scalare” che Fabbiani ritiene sia incompatibile con la tipografia.

Ricerche attuali

Negli articoli scritti da Fabbiani relativi a Gutenberg, l’assenza di un solo riferimento bibliografico, insieme a una fastidiosa ma chiara impressione trasmessa ai lettori che solo Fabbiani si occupi scientificamente della B42, aggiungono ulteriore tristezza alla querelle. Da un articolo di Fabbiani (Graphicus 1000 del settembre 2003) leggiamo: Molti libri sono stati scritti su questa Bibbia e su altre opere di Gutenberg, ma nessuno mai fino a oggi, salvo prova contaria, ha analizzato a fondo quest’opera… Un’affermazione che trova spiegazione, forse, nella non consapevolezza da parte di Fabbiani delle ricerche piú aggiornate. È vero che nessuno ha ancora finito di analizzare “a fondo” la B42; ma è possibile che ricerche di studiosi quali Lotte Hellinga (British Library), Paul Needham (Princeton University) e Cornelia Schneider (Museo Gutenberg), per menzionare solo tre personaggi ancora vivi e che fanno ricerche da diversi decenni, siano sconosciuti a Fabbiani? Lui che, se non vado errato, ha iniziato le sue ricerche sui lavori di Gutenberg appena nel 2003!

Le correzioni

Per chi rimane ancora con qualche dubbio vorrei discutere una ricerca di Mari Agata che è stata pubblicata sul «Papers of the Bibliographical Society of America» (vol. 97, giugno 2003). La ricercatrice ha scritto una prima relazione sull’analisi comparativa di 158 carte del 1° volume della B42: ha potuto avvalersi della copia della B42 della Cambridge University Library e quella presso la Biblioteca dell’Università di Keio. Usando Photoshop per la sovrimpressione dei testi delle stesse pagine delle due copie, oltre a quelle già rivelate da altri studiosi, ben venti piccole differenze – difficilissime da rilevare a occhio nudo – sono emerse. Un controllo eseguito su altre dodici copie della B42 ha rivelato che ogni copia riporta o la versione del testo di Cambridge o quella di Keio. Scegliamo un solo esempio di queste piccole correzioni (fig. 10) dal primo volume della B42, foglio 264r, colonna a sinistra; una piccolissima differenza appare nella seconda riga dell’illustrazione: nella copia Keio lo spazio tra i due punti (dopo la seconda parola) e l’abbreviazione (et) è maggiore di quello della copia Cambridge. Se la copia Keio rappresenta lo stato iniziale, è possibile che il cambiamento fu eseguito per correggere la giustificazione; effettivamente, la riga della copia Cambridge presenta una giustificazione migliore. Nel periodo della stampa con il torchio a mano se un errore o un refuso veniva notato in un foglio appena stampato, i tipografi si fermavano brevemente a correggerlo. Infatti, correggere piccoli e meno piccoli errori di questo genere con la tipografia era facilissimo: in questo particolare caso bastava aprire la forma, prendere un paio di pinze, cambiare la posizione di uno spazio e chiudere la forma: trenta secondi di lavoro. Fabbiani può spiegare come si poteva correggere con la metallografia? E soprattutto, può darci un’idea di quanto tempo ci voleva e se quel dispendio di tempo era in qualche maniera proporzionale all’importanza di un “errore” di giustificazione praticamente trascurabile come questo?

(Fig. 10) Le due illustrazioni provengono da una ricerca di Mari Agata sul Papers of the Bibliographical Society of America (vol. 97, giugno 2003). Lo stesso brano di testo di due copie della B42 (Quella di Keio in alto e quella di Cambridge, sotto) dimostra una differenza di spaziatura nelle due copie: nella seconda riga, tra i due punti (dopo la seconda parola) e l’abbreviazione (et).

Nuovo film sulla stampa di Gutenberg fatto da Sthephen Fry per la BBC

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I titoli del filmato
I titoli del filmato

In una affascinante collezione di documentari e una fiction, il canale inglese “BBC Four” penetra all’interno della bizzarra psiche della mente medievale, svelando alcuni degli eroi del periodo, esponendo e approfondendo alcune delle innovazioni e gli sviluppi che hanno spalancato la marcia verso il mondo moderno che conosciamo oggi.
In questo interessantissimo e piacevole filmato di 60 min. su Johann Gutenberg e la sua prototipografia, Sthephen Fry parla della storia degli inizi della stampa a caratteri mobili esaminando forse la più importante macchina mai inventata e prende parte a un esperimento pratico per scoprire come e perché è stata costruita.
La stampa è stata la prima macchina di produzione di massa. La sua invenzione nel 1450 ha cambiato il mondo anche drammaticamente come dividere l’atomo o l’invio di uomini nello spazio, scintilla di una rivoluzione culturale che forma l’età moderna. È la macchina che ha fatto di noi ciò che siamo oggi.

Stephen Fry si cimenta come incisore di punzoni
Stephen Fry si cimenta come incisore di punzoni

Stephen si comporta da vero detective nella sua indagine storica; combina il lavoro di ricerca come una sfida a piene mani. Egli si reca in Francia e Germania sulle tracce di Johann Gutenberg, l’inafferrabile inventore della stampa e il primo imprenditore dei media nel mondo.
Lungo il percorso scopre le lunghezze a cui Gutenberg ha fatto per mantenere il segreto del suo progetto, esplora il ruolo di investitori avari e concorrenti senza scrupoli, e scopre il motivo per cui la stampa importava così tanto l’Europa medievale.
Ma per capire davvero l’uomo e la sua macchina, Stephen si sporca le sue mani e, con un team di artigiani, li aiuta a costruire un gruppo di lavoro copiando gli originali della stampa di Gutenberg.
Egli impara come si faceva la carta (altra importantissima invenzione importata dalla Cina) nel 15° secolo, e assiste in una fonderia di metallo alla produzione della replica di punzoni usati nella prima stampa.

Testo in portoghese

Gli stampatori del 1500 a Milano: Michele Tini & Giacomo Piccaglia stampatori del Seminario di Milano al tempo di San Carlo Borromeo

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Il frontespizio del libro “Dialogo en laude de las mugeres”
Il frontespizio del libro “Dialogo en laude de las mugeres”

Nella seconda metà del 1500 anche il Seminario di Milano aveva una sua tipografia fortemente voluta dal suo Cardinale Carlo Borromeo. Da antichi documenti come il “Libro Mastro d’Entrata 1579 – 1585” registro amministrativo del Seminario, vengono citate varie informazioni riguardanti la storia della tipografia seminariale. Le prime notizie sono del 1579 quando viene segnata, su tale libro mastro, l’uscita di ben 2.521 lire, 6 soldi e 9 denari, cifra a quel tempo elevata « … per estinguere il debito della casa comprata da mons. Gio. Batta Osio per la stampa … ». Dopo altri sette fogli è trascritta l’uscita di 248 lire che corrispondono al « … pretio de risme n. 75 carta da stampa datta per il Seminario da 13 gennaio sin al di d’ogi come più chiaro appare alla partita della detta stamparia … ». Nel retro di questo foglio ecco apparire il nome di «mons. Michel Tini stampatore del Venerabile Seminario», il quale « … de dar a di primo gennaio 1579, 708 lire sono per tanti si fano boni alla mensa Archiepiscopale; qual gli ha fatto rimetere in Venetia per lui per comprar li caratteri per la stampa de qual suma se ne è datto credito a detta mensa in libro bianco … ». Dando un senso compiuto a queste affermazioni: lo stampatore Tini doveva rifondere le casse arcivescovili del prestito ottenuto per acquistare i caratteri a stampa fatti arrivare da Venezia, all’epoca uno dei centri più importanti dell’arte della stampa.

Ma chi era Michele Tini (che compare nelle sue edizioni anche come «Michael Thinus», «Michael Tinus», «Michele Tino» o «Michel Tini stampatore del seminario»)? Un monsignore originario di Sabbio Chiese presso Brescia che si dedicherà alla nuova arte della tipografia a Milano dal 1568 al 1594, figlio di Giovanni e fratello di Battista e Comino.

Agli studiosi della storia tipografica italiana, il Tini è conosciuto per le sue edizioni religiose stampate in rosso e nero firmate come «Typographus Seminari» e con il motto «Ad signum Famae». Lavorò sia da solo che in società con Giacomo Piccaglia nel 1580 firmando l’edizioni stampate come: «Michele Tini & Giacomo Piccaia stampatori del Seminario», e stampò spesso per i cugini gli altri Tini i fratelli Francesco, Simone e Pietro quest’ultimo editore e libraio attivo a Milano (con Michele e nella tipografia dei Da Ponte), Piacenza (dove utilizzò la tipografia di Giovanni Bazachi) e Venezia (di quelle di Giovanni Antonio Bertano, Girolamo Polo, Giacomo Vincenzi e Riccardo Amadino). Michele aveva bottega all’insegna della Fama. In un’edizione del 1584 compare il marchio della sirena e la leggenda: «Si vendono alla libreria de la Serena», gestita da Michele insieme con Francesco e Simone.

Giacomo Piccaglia fu attivo come tipografo prima a Venezia dal 1569 al 1570 e poi a Milano dal 1579 al 1590; lavorò da solo e in società oltre con Michele Tini, anche con Pacifico da Ponte e Graziadio Ferioli (Feriolo) a Milano e con Giovanni Maria Leni a Venezia. Non si sa se avesse rapporti di parentela con Giovanni Picaia, attivo a Venezia nel 1538.

Ma tornando alla tipografia del Seminario milanese è noto che essa ha un proprio edificio (la casa comprata da mons. G. B. Osio), un proprio titolare (Michele Tini) e con gli elementi indispensabili per una tale attività, ossia lettere mobili per la stampa e carta su cui stampare. Dal già citato “Libro Mastro”, inoltre, ci si può istruire sulla produzione di questa tipografia. Dai torchi uscivano calendari liturgici, spiegazioni per la S. Messa, testi con le litanie, il memoriale che San Carlo Borromeo scrisse ai milanesi dopo la peste del 1576-77, l’Ufficio della Madonna, il testo del Concilio Provinciale IV e V, le prediche in più volumi di un autore allora molto letto, il domenicano Ludovico Granata.

Accanto alla produzione, c’era un’attività di commercio. Lo stampatore Tini non lavorava solo per il Seminario, ma teneva parte del prodotto, per poi rivenderlo.

Alcuni librai di Milano, come i fratelli Besozzi e Gerolamo Giussani, acquistavano all’ingrosso per poi rivendere il prodotto a privati.

La produzione della tipografia seminariale però durò poco tempo in quanto, come risulta da diversi documenti, risultava come voce passiva per l’economia del Seminario.

Alla situazione di deficit si aggiunse quanto maturò nei giorni di Carnevale, sempre del 1580. Allora, il Cardinale Carlo Borromeo inflisse la scomunica a tutti coloro che avevano prolungato il Carnevale sino alla prima domenica di Quaresima, disturbando le funzioni religiose del Duomo. Poiché le cedole di scomunica erano state stampate da Michele Tini, costui e i suoi aiutanti vennero incarcerati e i locali della tipografia furono tenuti sotto sequestro per i conflitti che intercorsero tra l’Arcivescovo e le autorità governative. Le trattative che seguirono furono lunghe e snervanti, scoraggiando del tutto i responsabili del Seminario a mantenere la tipografia. Così venne venduta in blocco allo stesso stampatore Michele Tini, che continuò l’attività per altri 20-30 anni.

Nella sua brevità, la storia della tipografia del Seminario è significativa in quanto segnala la sensibilità del Cardinale Borromeo nell’utilizzo e controllo dei mezzi di comunicazione.

Fonte: La Fiaccola 01/2008 – Don Umbero Dell’Orto