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Archivio del tag ‘targhe stradali’

“L’alfabeto e la città” di James Clough: la conferenza

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Si è svolta martedì scorso, presso il Centro di Studi Grafici di Milano, la conferenza di James Clough “L’alfabeto e la città” con numerosa partecipazione di pubblico dove James ci ha incuriosito, divertito e fatto riflettere sulle varie insegne, iscrizioni, targhe e segnaletiche che ha fotografato personalmente, o che ha ricevuto, in giro per l’Italia.

Tralasciando le lapidi e le iscrizioni antiche italiane, delle quali una sola serata non sarebbe bastato ad illustrarle, James ci ha fatto vedere un pot-pourri di immagini partendo dalle targhe stradali, da quelle “ordinate” milanesi con le indicazioni scolpite e pitturate di nero su lastre di marmo bianco e in alcuni casi adattate in ornamenti architettonici, a degli esempi di Bergamo che ne vanta ben 15 tipi differenti, o all’esempio di Urbino composte in «Didot» condensato che le rende illeggibili. Altre targhe che ci ha fatto vedere: una in ceramica di Faenza (molto pertinente con la cultura cittadina) o una, sempre in ceramica, di Monleale (AL) dove l’indicazione “via Castello” risulta molto bello e brillante, come pure una curiosa di Borgo Po a Torino in stile rococò fiorentino che “scaccia i romani” o i “nissioetti” (nizioletti – lenzuolini) veneziani, a me cari, introdotti nella città lagunare dagli occupanti napoleonici nella fine del ıx Secolo (come ci conferma anche James Mosley).
Le targhe proiettate di seguito invece illustravano i numerosi “misfatti”, purtroppo facilmente ritrovabili, in giro per l’Italia: da una “via Tasso” a Cologno Monzese (MI) ad una sovrapposizione di targhe a Pianezza (TO) dove le nuove metalliche composte con un pessimo carattere coprono in parte le antiche molto belle, memoria storica di un paese. Per non parlare delle targhe tipo “via D. Alighieri” con “via Dante A.” (la foto di Anna Ronchi le mette in confronto ambedue).

Nella seconda parte della serata James ci ha fatto vedere alcune iscrizioni archigrafiche degli anni ’30 in tanti diversi stili tra le quali il bellissimo bastoni spaziato del Tribunale di Milano fatto dall’Arch. Marcello Piacentini e sempre dello stesso progettista le iscrizioni del Museo Nazionale di Reggio Calabria e del Palazzo INPS-Missori a Milano. Alcuni curiosi nessi tipografici trovati sulle lapidi del Cimitero Monumentale di Milano ed altre iscrizioni dove si notavano i diversi posizionamenti, più orizzontali o più verticali, delle ‘S’ sinuose tipiche di quegli anni.
In contrapposizione al bastoni di Piacentini per il Tribunale milanese, l’uso tridimensionale dello «Stop» di Aldo Novarese per il Tribunale di Napoli. Aldo non avrebbe mai ipotizzato tanto onore per un suo carattere “sperimentale e giocoso” utilizzato per un luogo tuttaltro che allegro.

Terza parte della conferenza riguardava le insegne di negozi nate come puro lettering dipinto su fondo metallico o dipinto sul verso di lastre di vetro ora sempre più diventate di materiale plastico, perdendo quella manualità artigianale che creava “opere” molto interessanti. Di queste tipologie di insegne James ci ha illustrato tre tipi differenti: Liberty, vernacolari (inteso come opere non professionistiche ma molto “libere e fuori da ogni regola compositiva”) e progetti grafici veri e propri.
Interessanti sono le ricerche sulle vecchie insegne che stanno scomparendo o che, purtroppo sono già scomparse, ma che fortuna rimangono almeno come fotografie, come la “Latteria” di Milano in zona via Zecca Vecchia e una oramai rarissima indicazione, sempre nel centro di Milano, di denominazione di “Contrada”.
Sopravvivono ancora delle vecchie insegne come quella del negozio “Mutinelli” a Milano o di un cinema a Modena come pure di mosaici pedonali a Venezia per indicare ristoranti (un esempio illustrato è l’uso di un corsivo inglese per un ristorante storico veneziano la “Antica Carbonera”), in alcuni casi la sensibilità di alcuni negozianti fa sì che, nonostante il negozio venda altra merce o che abbia cambiata solo la propietà, mantenga le insegne storiche come testimonianza culturale e storica del vissuto (l’insegna “Paracqua” o di una ex Farmacia trasformata in boutique ambedue in via Solferino a Milano ne è un esempio).
Tra le tante insegne progettate che James ci ha fatto vedere ci sono stati alcuni esempi tra i quali l’uso un po’ particolare di una ‘H’ per un fast food di Pesaro dove la lettera è diventato il busto di un cameriere che serve un burger o i giochi di lettere in altri elaborati.
Anche in questa categoria non mancano i “sotterfugi” come nel negozio di casalinghi dove la lettera ‘g’ è stata completamente posizionata sopra la linea di base (caso già illustrato in un mio precedente post sulla segnaletica della Metropolitana di Milano).
In chiusura di serata alcuni esempi di insegne esposte e di tombini di ghisa interessanti per alcuni accorgimenti per visualizzare, a seconda della forma del tombino stesso, gli acronimi di appartenenza.
Altre immagini di questa “caccia fotografica” di James Clough sono reperibili nei suoi articoli che ha scritto ultimamente per la rivista “Graphicus”.

Grazie James!

Sarà un posto tranquillo?

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A Burano nella Laguna di Venezia questa curioda indicazione
A Burano, nella Laguna di Venezia, questa curiosa indicazione

Sicuramente, in passato, questa fondamenta di Burano (VE) non era un posto raccomandabile data la denominazione. Ora al massimo potete essere “assaliti” dalle merlettaie che vi illustrano l’arte del prezioso merletto buranese o dai pescatori che riparano le reti in queste coloratissime isole che formano Burano.

Interessante è il tipo di carattere utilizzato con le (S) molto particolari, le (A) con la barra orizzontale bassa,  oltre che dalla tipologia di supporto differente dai “ninzioletti” presenti nel resto della laguna veneta. Infatti se a Venezia, Murano, ecc. l’indicazione delle calli, dei campi, dei rioterrà, ecc. sono fatte in stencil su dei rettangoli bianchi che sembrano lenzuolini a Burano sono scolpite nella pietra e successivamente riempite, ora di vernice nera, una volta di pece.

Testo in portoghese

Type Milano: numeri civici “austriaci” 1786 – 1866

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Numero civico “austriaco” in Via Durini – Palazzo Durini, sicuramente tra i più belli esempi ancora esistenti a Milano

Nel 1786, il ministro austriaco Johann Wilczeck, per volontà dell’imperatore d’Austria Giuseppe II, incarica il marchese Ferdinando Cusani, giudice delle strade, di far appendere ad ogni cantonata della città il nome della rispettiva via. Vengono assegnati alle case i primi numeri civici che saranno nominati “teresiani” perché utilizzati sotto Maria Teresa d’Austria.
Il piano parrocchiale con i nuovi numeri civici progressivi sarà pubblicato il 16 novembre 1787 nella “Pianta di Milano” di Arcangelo Lavelli. Secondo un sistema progressivo unico, partendo dal Palazzo Reale (che risultò così essere il n.1), per poi proseguire in senso circolare a spirale, dal centro alla periferia (mura spagnole) con l’ultimo numero 5314. Nel 1830 viene fatto il nuovo piano municipale che riordina i numeri civici progressivi, arrivati a 5628 case.
Si decide di contrassegnare i nuovi numeri affiancando ai precedenti lettere alfabetiche (ad esempio, 560-560A-561) mentre fino ad allora venivano inseriti i nuovi numeri pescando dall’ultimo progressivo (ad esempio, 560-4981-561). L’elenco con la nuova numerazione è riportato nella “Nuova Guida numerica della città di Milano” del 1839 che riporta il confronto con la numerazione precedente del 1786.

Numero civico “austriaco” in Corso di Porta Vigentina, 23 sulla facciata di quella che era la chiesetta di S. Maria al Portello Vigentino che sorse al posto di una delle croci che un tempo erano poste agli incroci e ora si trova fagocitata da un negozio di articoli ortopedici diventandone quasi una dependance
Numero civico “austriaco” in Corso di Porta Vigentina, 23 sulla facciata di quella che era la chiesetta di S. Maria al Portello Vigentino che sorse al posto di una delle croci che un tempo erano poste agli incroci e ora si trova fagocitata da un negozio di articoli ortopedici diventandone quasi una dependance

Nel 1886 Delibera municipale che istituisce i numeri civici bianchi al posto di quelli rossi (12 e 13 settembre). La delibera verrà attuata progressivamente negli anni successivi.
Solo ottant’anni più tardi, nel 1866, di fronte alle difficoltà di una tale numerazione, il sistema venne concepito secondo la numerazione via per via, coi pari sulla destra venendo dal centro (odierno sistema). Sempre nello stesso anno uscirà l’importante fascicolo con il raffronto tra i vecchi numeri progressivi, i numeri rossi e i nuovi numeri civici. Vallardi pubblica una “Pianta di Milano” con i nuovi numeri civici divisi per vie. Il sistema “austriaco” della numerazione civica fu adottato anche dalla città di Parigi dal 1791 al 1805, e restano nella capitale francese ancora visibili, qua e là questi antichi numeri.
Attualmente il vecchi sistema austriaco è utilizzato solo a Venezia, dove al contrario della vecchia Milano della dominazione asburgica, qui viene ripetuta per i sei Sestieri (San Marco, Cannaregio, Castello, Dorsoduro, Santa Croce, San Polo) più la Giudecca. Insieme ai “nissioetti” (targhe stradali) francesi i numeri austriaci sono l’ultima eredità dell’occupazione straniera in quella che era la capitale della Serenissima Repubblica di San Marco. Anche per un veneziano e per i postini a volte è molto difficile arrivare ad un dato numero civico. Le abitazioni di ogni sestiere sono numerate progressivamente da 1 a qualche migliaio. Qualsiasi calle uno prenda vedrà dei civici sulle centinaia da una parte e sulle migliaia dall’altro. Uno aumenta, l’altro diminuisce. Ad un tratto trovate una calle ed il numero “300” diventa per magia “700”. Seguite la calle, ritrovando il “300″ fino a trovarne un’altra che “fa il trucco del 500”. Fate un ponte e vi ritrovate al “2000” di un altro sestiere.

Numero civico a Venezia nel Sestiere di Cannaregio
Numero civico a Venezia nel Sestiere di Cannaregio