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Virgolette, queste sconosciute

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Quando si compone un testo è importante il corretto uso delle virgolette, queste cambiano anche secondo le lingue.

virgolette

Vediamo ora i vari tipi e i loro utilizzi: Le virgolette semplici o apici si adoperano più raramente soprattutto
per indicare il significato di una parola o di una frase; per i versi quando sono incorporati nel brano in cui ricorre la citazione, i versi vanno inoltre composti in corsivo. In generale, sulla stampa la scelta delle virgolette è fortemente determinata dalle singole regole editoriali.
Le virgolette alte si dividono in due denominazioni:

“inglesi utilizzate per le lingue inglese, italiano, francese, portoghese e spagnol0;

”tedesche“ utilizzate per le lingue tedesco, lettone, lituano, ceko, slovacco, sloveno, croato, …

Nelle lingue latine le virgolette puntano verso l’esterno (“inglesi – spagnole”), nel tedesco verso l’interno („tedesco“). Sono utilizzate per indicare una o più parole che formano una sola cosa, o sono prese da altri libri.
Possono essere sostituite spesso con il corsivo, che si usa per parole straniere o dialettali usate in un testo italiano e in citazioni brevi. Nelle citazioni tra virgolette la punteggiatura sarà posta dentro le virgolette quando la citazione inizia con la maiuscola; sarà invece posta dopo quando, nel periodo già avviato, la citazione ha inizio con la maiuscola oppure quando i brani citati sono sintatticamente fusi nel discorso.
Possono anche essere usate per prendere le distanze dalle parole che si stanno usando (e nel parlato si dice infatti “tra virgolette”).

Le virgolette basse o sergente dette anche italiane o francesi possono essere singole e doppie, in francese e italiano sono puntate verso l’esterno « … » e ‹ … › , mentre in tedesco sono puntate in modo opposto » … « e › … ‹. Le virgolette basse singole non devono essere confuse con le parentesi ad angolo né con i segni aritmetici di diseguaglianza.
L’utilizzo delle virgolette basse è molteplice e si devono adoperare:
– nelle citazioni nel testo (brani o parole di qualsiasi lingua o dialetto che abbiano valore di citazione);
– nei titoli di giornali, riviste, libri, collezioni, enciclopedie, raccolte, album, ecc.;
– nei saggi ed altre opere che facciano parte di un testo il cui titolo è già citato in corsivo;
– nei nomi da distinguere (ma solo se strettamente necessario, meglio l’utilizzo delle virgolette alte o del corsivo);
– nei termini tecnici (a seconda della trattazione dell’opera) di qualsiasi lingua o dialetto.
È invece superfluo nell’utilizzo dei discorsi diretti dove è preferibile l’uso del “trattino lungo”

Per ottenere le virgolette tipografiche su Mac bisogna selezionare in sequenza i seguenti tasti:

Alt+2 = “

Alt+Shift +2 = ”

Alt+q = „

Alt+3 = ‘

Alt+Shift +3 = ’ (serve anche per l’apostrofo tipografico)

Alt+1 = «

Alt+Shift+1 = »

Su Windows bisogna usare il tastierino numerico, sui notebook il tasto Fn:

Alt+0147 = “

Alt+0148 = ”

Alt+0132 = „

Alt+0145 = ‘

Alt+0146 = ’ (serve anche per l’apostrofo tipografico)

Alt+0171 = «

Alt+0187 = »

Scritto da Giò

dicembre 10th, 2012 at 2:23

Il punto medio centrato

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Iscrizioni lapidarie altiniane conservate presso il Museo Archeologico di Altino (Ve)
Iscrizioni lapidarie altiniane conservate presso il Museo Archeologico di Altino (Ve)

Il primo segno di punteggiatura utilizzato nella storia della scrittura è il punto medio centrato (·) presente già nelle iscrizioni lapidarie romane per le abbreviazioni, e successivamente per separare i nomi propri (all’epoca non erano ancora comparsi gli spazi fra le parole).

La parola latina signum era probabilmente collegata al verbo secare, cioè tagliare: il signum poteva quindi essere in origine l’effetto, il prodotto di un taglio o di separazione.

Sempre in epoca romana, il punto venne utilizzato per separare tutte le parole e per segnalare la fine di una frase.

In epoca medievale compaiono anche altri segni, utilizzati tuttavia dagli scribi con parsimonia e con regole abbastanza variabili. Infatti era ancora utilizzato soprattutto il punto per le abbreviazioni. La ricchezza di congiunzioni del latino rendeva superflui la maggior parte dei segni di punteggiatura, e anche i grandi capolettera ad inizio periodo rendevano spesso superfluo il punto fermo.

Solo con la comparsa della stampa, alla fine del Medio Evo, vengono fissate delle regole standard nell’uso della punteggiatura.

Sarà Aldo Manuzio, il grande stampatore veneziano, a dare origine a un sistema pressoché moderno nelle edizioni di opere di Pietro Bembo (a cominciare dal 1496): virgola nella stessa forma odierna, punto e virgola per una pausa minore di quella segnata dai due punti, punto fermo in chiusura di periodo e “punto mobile” alla fine di frasi interne al periodo, apostrofo e accento.

Ancora oggi il punto medio centrato, seppur raramente utilizzato, è una delle forme di punteggiatura tipografica più semplice ed efficace (nel catalano serve a dividere una doppia elle minuscole o maiuscole come per esempio nelle parole: intel·lectual, col·laboració, ecc.).

Testo in portoghese

5) Transizionali – Barocche (Classificazione Novarese)

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Sono così chiamati perché i suoi elementi indicano la transizione tra “romani antichi” e “romani moderni”. Nascono tra la fine del XVII e il XVIII secolo prima in Francia, successivamente in Olanda e Inghilterra e non presentano particolari innovazioni rispetto ai caratteri Veneziani che li hanno preceduti.

Pagine del Champs Fleury, Geoffroy Tory 1529
Pagine del Champs Fleury, Geoffroy Tory 1529

Dalle ricostruzioni geometriche dei Lapidari durante il Rinascimento si arriva ai primi esempi di transizionale francese del «Roman du Roi», creato da Philippe Grandjean nel 1692 su commissione dell’Accademia francese delle scienze dove per la prima volta fu disegnato un corsivo originale.

Romain du Roi disegnato da Philippe Grandjean per il re di Francia Louis XIV, nel 1692
Romain du Roi disegnato da Philippe Grandjean per il re di Francia Louis XIV, nel 1692
Particolare della costruzione della lettera “M” del Roman du Roi

Dai transizionali olandesi come quelli incisi dal punzonista Cristoffel Van Dijck per gli Elsevier fino ai transizionali inglesi, le grazie non hanno quasi mai inclinazioni e si raccordano all’asta verticale con una piccola curva, mentre la base della grazia è completamente piatta.

Lo specimen del DTL Elzevir disegnato da Gerard Daniëls, basandosi sui caratteri di Christoffel van Dijck 1660
Lo specimen del DTL Elzevir disegnato da Gerard Daniëls, basandosi sui caratteri di Christoffel van Dijck 1660

In questo carattere l’asse verticale non è più inclinato ma perpendicolare alla base come nelle lettere “o”, “O”, “Q”. La “C”, la “G” e la “S” hanno il rostro molto pronunciato e le differenze tra fine e grosso sono più accentuate come è più accentuato il contrasto tra i pieni e i vuoti. I transizionali sono caratterizzati da un contrasto più pronunciato fra aste verticali e orizzontali rispetto ai romani antichi. L’asse, è quasi verticale. L’allineamento superiore della “T” non è più sporgente.

Dal punto di vista della leggibilità stanno alla pari dei Veneziani, però sono più adatti per le riproduzioni in considerazione delle grazie leggermente più accentuate rispetto ai tipi precedenti: virtù eccellente per sopperire alle naturali deformazioni fotografiche. Sono apprezzati e sempre in primo piano per qualsiasi applicazione e sono anche più resistenti, come caratteri a piombo, all’usura delle lunghe tirature tipografiche.

Lo specimen dei caratteri di William Caslon. Questi caratteri di derivazione dai transizionali olandesi sono stati molto popolari e utilizzati per molti importanti stampati della epoca, incluso la prima versione stampata della Dichiarazione dIndipendenza degli Stati Uniti. They fell out of favour in the century after his death, but were revived in the 1840s, and Caslon-inspired typefaces are still widely used today.
Lo specimen dei caratteri di William Caslon. Questi caratteri di derivazione dai transizionali olandesi sono stati molto popolari e utilizzati per molti importanti stampati dell’epoca, incluso la prima versione stampata della Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti.

Per la composizione tipografica di libri (quali romanzi, saggi, narrativa, ecc.), il carattere più consigliato e meglio riuscito è il «Baskerville», disegnato dall’inglese John Baskerville (1706-1775), artista, disegnatore di caratteri e stampatore seguendo i suggerimenti del suo contemporaneo William Caslon (1692-1766) autore del carattere ononimo «Caslon», accentuando ulteriormente i contrasti d’asta e rendendo più eleganti i raccordi con il risultato di un carattere molto leggibile.

Del carattere del Baskerville esiste in commercio una versione ridisegnata che prende nome di «New Baskerville».

Frontespizio della Bibbia stampata da John Baskerville nel 1763
Frontespizio della Bibbia stampata da John Baskerville nel 1763

Esempio di carattere per i testi da quotidiano è il «Times» disegnato da Stanley Morison (1889-1967) per il quotidiano londinese “The Times” nel 1932 basandosi sul «Plantin», dal nome dello stampatore francese Christophe Plantin (1520-1589).

Specimen del New Century Schoolbook
Specimen del New Century Schoolbook

Per la composizione tipografica di libri di testo scolastico il carattere più consigliato è il «New Century Schoolbook», basato sul «Century» disegnato da Linn Boyd Benton nel 1895, per la sua leggibilità anche se meno elegante degli altri della famiglia di classificazione.

Tra i molti Transizionali ricordiamo, oltre ai già citati: «Plantin», «Baskerville», «Caslon», «Century», «New Century Schoolbook» e «Times»; anche: «Granjon», «Palatino», «Aster», «Magister», «Bell», «Bulmer», «Cochin», «Hoefler Text», «New Caledonia», «Perpetua», «Fournier», «ITC Stone Serif», ecc.

Tesi tipografiche al Politecnico (5): SiRaff – sistema random di scrittura per fumetti

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Ecco un abstract di una seconda interessantissima tesi tipografica presentata nella scorsa sessione di luglio di Lauree Magistrali di Comunicazione Visiva presso il Politecnico di Milano – Facoltà del Design. Tale tesi è stata svolta da Francesca Mangiaracina ed ha ricevuto il maggior apprezzamento da parte della commissione esaminatrice.

Scrive Francesca:
SiRaff propriamente è un acronimo che nasce da Sistema random di font per fumetti. Siraff pertanto ha l’obiettivo di riprodurre in versione digitale le scritture dei fumetti nel rispetto delle caratteritiche della scrittura dell’autore considerato.

Alla base di Siraff la riflessione del duo letterror riguardo ad una metodologia progettuale più attenta alla generazione matematica di una font.

“Cosa succede se invece di disegnare delle lettere si scrivesse un programma che disegni le lettere?”

Esistono sostanzialmente due raggi di azione nella progettazione: il primo che si concentra sull’esteriorità, gestendo solo l’aspetto estetico dell’immagine, (il glifo); il secondo, invece, agisce più in profondità, interrogandosi su cosa esista oltre all’immagine. Quest’ultimo metodo necessita da parte del progettista una presa di conoscenza a monte del processo generativo, delle sue regole nonché delle regole che governano il funzionamento dello strumento utilizzato.

Sia che si preferisca utilizzare il primo o il secondo metodo è in dubbio che in entrambi i casi l’elemento base di tutto sia la matematica ed è certa la sua esistenza, di cui la funzione che governa il random ne è l’aspetto più interessante. Una cosa è certa: la matematica esiste ed è l’anima del progetto! Ma prenderne coscienza ed utilizzarla come punto di partenza in fase progettuale non vuol dire precludere la possibilità di ottenere un risultato di alta qualità estetica.

Tutt’altro, cambiare punto di vista può esser vantaggioso poiché aiuta ad entrare in una logica di progetto più profonda, mantenendo il pieno controllo delle potenzialità offerte dal mezzo.

Può la matematica governare la generazione di un carattere che simuli una scrittura manuale?

È possibile ricavare da una scrittura manuale delle regole che consentano in qualche modo di catalogare il comportamento di un glifo?

Partendo da questa riflessione ha preso forma SiRaff offrendo una metodologia che si fondi su regole matematiche utili a simulare scritture manuali sfruttando il random. È proprio la variazione della scrittura a mano libera che si cerca di controllare nel rispetto delle sue caratteristiche originali.

Viene eseguita, quindi, un’analisi accurata sul lettering.

La scelta del campione da analizzare è ricaduta sul fumetto d’autore “David Boring” di Daniel Clowes, in cui il lettering è interamente eseguito a mano dall’autore stesso.

Previa un analisi accurata sulle caratteristiche dello stile della scrittura punto di partenza per l’analisi è la verosimile possibilità che ciascun glifo venga in qualche modo influenzato, nel modo di scrittura, dal suo precedente.

Seguendo questa logica le 26 lettere dell’alfabeto vengono suddivise per convenzione in 4 gruppi di influenza:

1. A E H I L T F K Z Y

2. W N M V

3. O Q G C S U J

4. D P R B

Presi in esame una ventina di campioni per singola lettera, scelti casualmente, se ne valuterà analiticamente il diverso comportamento in relazione al glifo che lo precede, estrapolando aree d’azione per ciascun punto considerato appartenente al glifo. Stessa metodo di analisi è applicato per l’estrapolazione delle maniglie di controllo.

L’analisi effettuata prevede l’individuazione di variabili, successivamente parametrizzate, che possano caratterizzare il diverso comportamento del singolo glifo:

• altezza del glifo (distanza tra punti in ordinata)

• larghezza del glifo (distanza tra punti in ascissa)

• posizione del glifo (distanza tra punti in ascissa e ordinata, del singolo glifo rispetto al precedente)

e due varibili che agiranno su tutto l’alfabeto indipendentemente dal glifo che precede:

• tipologia del tratto (riprodurre il tipo di tratto dello strumento utilizzato)

• posizione del glifo (distanza del glifo, in ordinata, rispetto alla baseline)

Così facendo si riesce ad avere una panoramica completa sulla scrittura considerata. I campioni analizzati vengono scomposti in parti minime al fine di comprenderne la struttura costruttiva della singola lettera nonché le relazioni dei tratti costitutivi.

Ruolo fondamentale è riservato al random che agirà nello spazio secondo range di valori individuati e consentirà di generare nuovi e sempre diversi glifi sempre nel rispetto delle caratteristiche individuate per tipologia di comportamento.

Il metodo di analisi utilizzato tiene conto del modo di operare del software nonché delle regole costruttive del glifo riconosciuto come insieme di punti e di curve di bezièr.

Il risultato di tale metodo sarà un alfabeto tanto duttile da poter cogliere e simulare, tramite il random appunto, tutte le diversità di una scrittura per sua natura casuale.

La generazione di nuove lettere può essere così fatta agendo direttamente sullo script che l’ha generato e producendo font adattabili a qualsivolgia scrittura manuale.

Francesca Mangiaracina

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Tesi tipografiche al Politecnico (4): Flaminia, uno strumento opensource per la progettazione e la valutazione di caratteri per segnaletica

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Anche la sessione delle Lauree Magistrali di luglio, presso il Politecnico di Milano, è stata ricca di tesi con argomento la tipografia, il type design e le sue problematiche.

Varie tipologie di segnaletica con uso delle diverse variabili del Flaminia
Varie tipologie di segnaletica con uso delle diverse variabili del Flaminia

La prima tesi di questa nuova sessione e vi illustro è stata presentata da Andrea Bergamini dal titolo “Flaminia, uno strumento opensource per la progettazione e la valutazione di caratteri per segnaletica”. Un estratto di tale tesi sarà presente nel volume Italic 2.0 in uscita il prossimo autunno.

Flaminia è un sistema open source per la progettazione e la valutazione di caratteri per segnaletica che nasce dallo studio di diversi caratteri di questo tipo utilizzati nel mondo e dalla necessità di testare costantemente in itinere (con gli stessi materiali e nelle medesime condizioni d’uso) il proprio lavoro.

Inoltre Flaminia ha lo scopo di individuare alcuni variabili anatomiche che concorrono a determinare la maggiore o minore leggibilità di un carattere per segnaletica, configurandosi come uno strumento scientifico a supporto della ricerca in questo settore.

Le variabili ipotizzate in questa ricerca sono state:

• Altezza della x

• Larghezza del glifo

• Spessore delle aste

• Rotondità del glifo

• Presenza o assenza di glifi ambigui

• Rotondità delle aste

• Irregolarità dei tratti

• Presenza di grazie

Identificate le prime quattro come interpolabili per raggiungere un buon compromesso di leggibilità, esse sono state inserite in una Multiple Master di cui sono stati disegnati gli estremi (con x-height alta e bassa, extended e condensed, thin e bold, dalla forma quadrata o tonda).

A questo carattere estremamente duttile è possibile aggiungere altri elementi di studio, modificando lo stile del tratto, sostituendo alcuni glifi con delle versioni alternative o addirittura arrotondandone le terminali o apponendovi delle grazie.

Questa tecnica permette di generare rapidamente un gran numero di font “cavia” con le quali testare l’importanza di ogni variabile associandola, tra l’altro, anche a materiali e condizioni di luce diverse.

lo studio delle frecce direzionali
lo studio delle frecce direzionali

Il metodo applicato all’elemento alfabetico è stato successivamente utilizzato anche per l’altro elemento fondamentale della segnaletica, la freccia: per questo segno è stato infatti impostata un’altra Multiple Master con valori di spessori coerenti con quelli delle lettere, ma con variabili differenti; la freccia diventa in questo modo un altro glifo della font, perfettamente integrato a livello grafico, ma contemporaneamente ottimizzato per un utilizzo ancora più funzionale sui segnali.

Il progetto open source, che a breve sarà reso scaricabile dal sito dell’autore e da quello del gruppo di ricerca Progetto EXP, potrà in futuro essere rimesso in discussione, sostiuendo alcuni parametri e introducendone di nuovi. Nel frattempo alcuni diagrammi ancora in progress si possono vedere sul set di Flickr.

La giusta giustezza

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Molte volte, sia i miei studenti, sia chi mi conosce mi domandano le regole che, in una buona composizione, determinano una corretta giustezza.
Premetto per chi non è del mestiere e legge per caso questo post la definizione di giustezza di un testo composto: la giustezza è la larghezza della colonna di testo e si misurava fino a pochi anni fa unicamente in righe tipografiche e punti, attualmente, nella prospettiva di trasformare le misurazioni tipografiche nel sistema metrico decimale, in centimetri e millimetri.
In tipometria la giustezza si identifica con la lettera (G.) per la misura in righe tipografiche e (G. cm.) per la più facile misurazione metrico-decimale (esempio: G.12, G.20, G.cm. 5, G.cm. 14,2 ecc.).
La giustezza stabilisce la lunghezza massima delle righe tipografiche. Ciò non vuol dire che la riga di testo debba essere lunga come la giustezza, cosa che si verifica solo nella composizione a blocchetto; la riga può essere di differente lunghezza, stabilendo, appunto, con la definizione di giustezza massima la lunghezza delle righe più lunghe sulla quale è centrato o allineato, a sinistra o a destra, il testo.
La sproporzione fra un corpo del carattere e la lunghezza delle linee può nuocere alla leggibilità, nel senso che, se il corpo è troppo grande l’effetto risulterà sgradevole, mentre se è troppo piccolo renderà faticosa la lettura.
Poiché l’occhio legge per gruppi di parole anziché per parole singole, il loro numero sulla riga è molto importante.
Di seguito potete vedere la tabella delle giustezze minime e massime
consigliate per ogni uso di corpo e di composizione.
In ogni caso per una corretta giustezza, bisogna ricordare che:
– I caratteri romani danno i migliori risultati con 9-12 parole per riga.
– I caratteri senza grazie hanno bisogno di righe da 7 a 10 parole.
– I caratteri con occhio grande accettano righe più lunghe, mentre quelli con l’occhio piccolo impongono meno parole per riga.
– Il numero di parole contenute in una riga può essere modificato aumentando o diminuendo il corpo, cambiando carattere o modificando la giustezza.
– La lunghezza di una linea di testo dovrebbe contenere circa da 1½ a 2 volte le lettere dell’alfabeto minuscolo di un carattere tondo, neretto, normale.
– Quando si fosse costretti a lavorare su giustezze più lunghe bisognerà aumentare lo spazio interlineare (vedi interlinea) ed evitare confusione ed inciampi nel passaggio della lettura da una linea a quella sottostante.
– Con giustezze piccole conviene comporre il testo a bandiera per evitare continue sillabazioni, dato che questa deve essere utilizzata solo con i testi a blocchetto.

Giustezze minime e massime consigliate per ogni uso di corpo e di composizione
Giustezze minime e massime consigliate per ogni uso di corpo e di composizione

Scritto da Giò

giugno 28th, 2008 at 6:26