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A Lodi un “Museo della stampa” tutto da scoprire

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Nel centro storico di Lodi è stato realizzato nel giugno 2008 il Museo della stampa e stampa d’arte nato dalla grande passione dell’Ing. Andrea Schiavi per questa arte e per la sua importante storia. Il Museo occupa ben duemila metri quadrati di superficie al piano terra di quella che era, fino agli anni Ottanta dello scorso secolo, la ex tipografia Lodigraf.
La collezione è tra le più importanti di Europa e con la Tipoteca Italiana di Cornuda, specializzata però sui caratteri tipografici, la più completa d’Italia. Ne fanno parte macchine, attrezzature e cimeli di diverse epoche, che illustrano tutti i processi di stampa: dalla xilografia alla calcografia, dalla serigrafia alla tipografia, dalla litografia alla stampa offset, dalla composizione manuale a quella meccanica in piombo, fino alla fotocomposizione e al computer. Un Museo vivo non solo indirizzato alle Scuole ma a tutti i cultori della materia e curiosi di questa storica arte.

Si entra dalla Sala Legatoria una suggestiva galleria, alle cui pareti sono appesi grandi pannelli provenienti da un’antica legatoria, sono disposte numerose macchine per tagliare, piegare, cucire i fogli di carta stampati, nonché per completare il prodotto-libro, con finiture varie, sulla copertina o sul dorso. Si tratta di presse doratrici, macchine cucitrici e cordonatrici, tutte perfettamente funzionanti, prodotte dalle più prestigiose fabbriche europee nell’Ottocento e nel primo Novecento. A documentare le diverse operazione delle donne, addette per tradizione ai lavori di legatoria, il tipico bancone da legatore dotato di tutta l’attrezzatura manuale dell’antica Legatoria Torriani, attiva nell’Ottocento a Cologno Monzese. Molto curioso è il sistema presentato per la stampa degli spartiti musicali dove prima vengono incisi i pentagrammi con una specie di rastrellino e successivamente inserite le note incise direttamente dai punzoni.

La galleria successiva è la Sala Arte dove si può ammirare una ricca selezione di torchi calcografici e litografici di notevole interesse storico costruiti dal secolo XVI al secolo XIX, nonché alcune lastre in rame incise come matrici calcografiche intorno al 1850. Pregevole è anche la raccolta di pietre litografiche di grande dimensione proveniente dalla Casa Editrice Vallardi di Milano, eseguite tra il 1870 e il 1930. Rara e originale è la serie di cromolitografie di alcune stazioni della Via Crucis, datate 1875. Alle pareti una rassegna di prove di stampa a tema unico (una conchiglia), realizzate da noti artisti lodigiani contemporanei per documentare le diverse maniere della calcografia, oltre ad altre tecniche come la xilografia, la serigrafia e la linoleografia.

Il terzo grande spazio che si visita è la Sala della Stampa Tipografica dove tra le centinaia di reperti storici riportati all’antico splendore, sono collocati numerosi torchi tipografici in ghisa di produzione europea e americana dei secoli XIX e XX.
Nella stessa sala si trovano le prime stampatrici, dalle più semplici manuali da tavolo, alle più complesse platine e piano cilindriche, a funzionamento manuale o elettrico.

In fondo alla sala una vera e propria fonderia di caratteri in piombo con la presenza di macchine Linotype e Monotype perfettamente funzionanti per la fusione e composizione meccanica che si completano con la compositoria manuale con la raccolta di numerose polizze di caratteri tipografici nella maggior parte italiani conservate in antiche cassettiere, con punzoni, matrici e caratteri in legno.

Arricchiscono la preziosa collezione un impianto completo ad uso didattico per la fabbricazione della carta, dalla cellulosa alla filigrana, i macchinari per la stampa di carte valori, una collezioni di vecchie macchine dattilografiche e di sistema per la stampa in Braille, nonché un significativo impianto completo per la stampa a smalto in rilievo (rilievografia) con due meravigliose antiche presse capaci di stampare a più colori.

Telaio per la produzione di filigrane sulla carta
Telaio per la produzione di filigrane sulla carta

Nell’ultimo spazio museale, la Sala dei Torchi e delle Presse vi è una ricca ed elegante selezione di torchi ottocenteschi provenienti, in prevalenza, dalla rinomata fabbrica della famiglia Dell’Orto di Monza. In particolare si segnalano i torchi Stanhope e Albion appartenuti a Claudio Wilmant, il più famoso incisore e fonditore attivo a Lodi e Milano nell’Ottocento.
Seguono in successione altri torchi tipografici e presse di pregevole fattura; infine, al centro della sala, il gioiello del Museo: il torchio “Columbian”, inventato dall’americano George Clymer, costruito a Londra dal 1817. È l’unico esemplare custodito in Italia.

Particolare del torchio “Columbian”, inventato dallamericano George Clymer
Particolare del torchio “Columbian”, inventato dall’americano George Clymer

Aperto da martedì a sabato con visite guidate a pagamento e su appuntamento per classi, gruppi ed associazioni.

Museo della Stampa e Stampa d’arte a Lodi
via della Costa 4
Lodi
www.museostampa.org
info@museostampa.org
Tel. 0371.56011 – fax: 0371.422080

TypeDesign4: il “Gilda Typewriter” di Sonia Mion *

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Con il “Gilda Typewriter” di Sonia Mion siamo arrivati al decimo progetto di type design presentato in questo blog tra i lavori degli studenti del Corso di Alta formazione in Type Design della quarta edizione svolta nel 2009 presso il Consorzio Poli.design di Milano sotto la direzione di Giancarlo Iliprandi e docenti: James Clough, Giangiorgio Fuga, Michele Patané, Andrea Bracaloni e Luciano Perondi. Ospiti: Claudio Rocha e Veronika Burian.

Il tema dei lavori di questo corso verteva sulla progettazione di un alfabeto per un’interfaccia analogica. Tali interfacce, dove il partecipante al corso poteva scegliere, sono state: 1. Macchine per scrivere 2. RID, ovvero segnali a messaggio variabile 3. Tastiere per computer 4. Orologi analogici 5. Cruscotti 6. Normografi 7. Calcolatrici o altre macchine meccaniche.

Il lavoro di Sonia Mion si è quindi basato su una rivisitazione di carattere monospaziato per dattilografia producendo una font molto leggibile e gradevole con una x-height molto grande senza perdere in eleganza. Come scrive Sonia nella sua presentazione: “ Furono loro, le giovani o meno giovani segretarie di azienda, le dattilografe, le operose elaboratrici di dati ai primi apparati di schedatura meccanica, le protagoniste e destinatarie più o meno consapevoli del cinema alla moda dei telefoni rosa, il pubblico ideale dei romanzi per signorine, ma anche le esponenti di una nuova generazione di lavoratrici alla scrivania.”

Buon 90° compleanno Hermann! – 8 novembre 2008

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Questo è un anno di compleanni speciali, dopo gli 80 di Adrian Frutiger e di Wim Crouwel, oggi 8 novembre Hermann Zapf, il più prolifico disegnatore di caratteri vivente, compie 90 anni.

Nato a Norimberga l’8 novembre 1918 è sposato con la calligrafa e disegnatrice di caratteri Gudrun Zapf-von Hesse vive a Darmstadt in Germania. Ha imparato la calligrafia da autodidatta guardando i libri di Rudolf Kock e Edward Johnston. Egli ha avuto una illustre carriera nella progettazione dei caratteri e degli artefatti tipografici che si estende per oltre cinquanta anni rimanendo un tradizionalista ma anche un innovatore moderno allo stesso tempo.

Hermann Zapf è riconosciuto come uno dei leader mondiali del type designer e della tipografia, dopo aver progettato numerosi caratteri romani, greci e arabi soffrendo però le ferite della lama a doppio taglio della venerazione, visto che i suoi caratteri, che includono i tipi «Palatino» ed «Optima», sono stati oltre che i più ammirati anche i più imitati. L’esempio più noto è il «Book Antiqua», distribuito con Microsoft Office™ che è considerato un vero proprio plagio del suo «Palatino». Proprio per questo, nel 1993 egli rassegnò le dimissioni dall’ATypI (Association Typographique Internationale) per quella che considerava un atteggiamento ipocrita sulla copiatura non autorizzata da parte dei membri dell’ATypI.

Oltre ai già citati «Palatino» e «Optima» Zapf ha disegnato altri famosi caratteri tra i quali ricordo «Melior», «Virtuosa», «Aldus» e «Kompakt» creati all’inizio della sua carriera. Questi sono stati progettati principalmente per la Linotype. Poiché suoi disegni sono stati e sono tuttora, una componente essenziale di ogni ben pianificata offerta tipografica, i concorrenti della Linotype hanno prodotto dei cloni virtuali di caratteri tipografici di Zapf per i propri clienti. Dopo aver visto cosa accadeva in quel periodo, Zapf ha concluso che non era né intelligente né proficuo continuare una carriera di progettazione di caratteri che poi gli altri ti plagiamo, pertanto nella metà degli anni ‘60 smette la progettazione commerciale.

Passò più di un decennio prima che progettò un nuovo carattere tipografico in occasione della fondazione della ITC (International Typeface Corporation) nel 1971 da parte di Aaron Burns che convinse Zapf della filosofia aziendale basata sul principio che avrebbe acquisito le licenza dei disegni tipografici su una base di non esclusività in modo da creare un semplice rapporto d’affari senza restrizioni tra le parti.
Il rapporto con ITC continua, con la progettazione dei «ITC Zapf International» nel 1976 e «ITC Zapf Chancery» nel 1978. Sempre del 1976 è il «ITC Zapf Book» una miscela di «Melior», «Bodoni» e «Walbaum» per fare un carattere da testo al quale sono stati aggiunti più tardi caratteri swash caratteri per la visualizzazione. Nel 1977 Zapf, Burns e Herb Lubalin fondano una società denominata Design Processing International a New York per sviluppare software tipografici per computer. Dopo la morte di Lubalin nel 1981, la società diventa Zapf, Burns & Company. Con la morte di Burns nel 1991, che era stato responsabile della commercializzazione, si scioglie la società in quanto Zapf non voleva gestire una società americana dalla Germania e non voleva vivere a New York. Iniziò, invece, a sviluppare, in collaborazione con una società tedesca di software, un programma di typesetting chiamato “Hz-program” ma tale società fallì nella metà degli anni ’90 e il progetto si fermò.

Un carattere tipografico che potrebbe superare la popolarità della sua prima terna di «Optima», «Palatino» e «Melior» si è sviluppato in un progetto per sostenere ancora un altro software. Nei primi anni ’90 Zapf sviluppa un carattere tipografico “corsivo dritto” chiamato «AMS-Euler» per l’American Mathematical Society. Si è trattato di un progetto di collaborazione con la Stanford University con l’assistenza del professore Donald Knuth e un giovane studente, David Siegel, che ha convertito i disegni di Zapf in caratteri digitali utilizzando il METAFONT. Questo carattere cerca di emulare lo stile della calligrafia di un matematico che scriva entità matematiche sulla lavagna, che è dritto, piuttosto che inclinato. Nel 1992 Siegel scrive a Zapf, spiegando la sua idea di replicare grafia in una font. Per rendere la font calligrafica la più realistica possibile, ha spiegato, le lettere e la loro variabili alternative cambiano contestualmente e variano anche con l’altezza dalla linea di base, come con la normale scrittura a mano. Tutto ciò sarebbe stato realizzato con un nuovo software in via di sviluppo. Zapf era incuriosito da l’idea, ma ha anche avuto seri dubbi sul risultato. La risposta a quest’ultima preoccupazione di Zapf è stata la prima digitalizzazione di un piccolo pezzo di calligrafia contenuto in un sketchbook che Zapf aveva conservato mentre era militare. La stessa calligrafia era stata il modello per il «Virtuosa Script», che era stato punzonato e fuso in caratteri di piombo nel 1948. Sapendo che la progettazione del Virtuosa era stata compromessa a causa delle restrizioni che davano i caratteri in metallo convinse Zapf che « … forse questo nuovo software potrebbe consentire di effettuare in un font praticabile la calligrafia … ». Ha progettato pertanto centinaia di caratteri basati sulla calligrafia, compresi molti modelli alternativi per la maggior parte delle lettere e una massiccia serie di swash e legature. Però il processo di digitalizzazione e di implementazione della font da eseguire si era rivelato proibitivo in termini di tempo e tutto fu sospeso fino al 1997 quando Zapf portò i suoi disegni e le prime digitalizzazioni di Siegel alla Linotype.

Hermann Zapf e la Linotype si misero daccordo di produrre quattro alfabeti calligrafici eliminando alcune lettere e sostituendole con delle nuove. Così naque il suo carattere calligrafico «Zapfino», che diviso in quattro font PostScript fu originariamente rilasciato nel 1998 e ridisegnato nel 2003 per sfruttare le nuove potenzialità offerte dal formato digitale delle font OpenType™, questo è stato uno straordinario successo in tutto il mondo. Anche se la risultante font OpenType™, «Zapfino Extra», ha notevolmente più glifi comprese molte legature e variabili della stessa lettera, con questa tecnologia è più semplice l’utilizzo che permette di rendere più veritieri i caratteri calligrafici digitalizzati. Convertire il disegno originale in un font OpenType™ è stato un compito monumentale, ma Zapf, in collaborazione con la Linotype design sotto la direzione di Akira Kobayashi ci riuscì con un tour de force.

Hermann Zapf è stato fatto Honorary Designer for Industry dalla Royal Society of Arts e ha vinto innumerevoli premi. Egli è un membro onorario di oltre venti-quattro associazioni in tutto il mondo ed è anche Presidente onorario della Fondazione Edward Johnston.

I caratteri di Hermann Zapf sono in vendita presso la Linotype. (immagini per gentile concessione di Linotype)

Ecco l’elenco dei caratteri digitalizzati disegnati da Hermann Zapf:

«Aldus» (1954), «Aldus Nova» (2005), «Aurelia» (1983), «Comenius Antiqua BQ» (1976), «Edison» (1978), «AMS-Euler» (1971), «Kompakt» (1954), «Marconi» (1976), «Medici Script» (1971), «Melior» (1952), «Noris Script» (1976), «Optima» (1958), «Optima nova» (2002), «Orion» (1974), «Palatino» (1950), «Palatino nova» (2005), «Palatino Sans» (2006), «Saphir» (1953), «Sistina» (1950), «Vario» (1982), «Venture» (1969), «Linotype Zapf Essentials» (2002), «Zapfino» (1998), «Zapfino Extra (2003), «ITC Zapf Chancery» (1979), «ITC Zapf International» (1976), «ITC Zapf Book» (1976), «Zapf Renaissance Antiqua» (1984–1987), «ITC Zapf Dingbats» (1978).

Bodoni e le avanguardie – conferenza a Parma il 10 ottobre

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Convegno internazionale
Parma, Palazzo Sanvitale, Salone delle Feste 10 ottobre 2008, ore 9.30

Il 10 ottobre 2008 a Parma a partire dalle h. 9.30, presso il Salone delle Feste a Palazzo Sanvitale, avrà luogo il convegno internazionale  Bodoni e le avanguardie organizzato dal Museo Bodoniano e dalla Biblioteca Palatina di Parma.

Il convegno si propone di riunire studiosi italiani e stranieri della cultura non solo tipografica, ma più latamente figurativa, architettonica, grafica ed estetica del Novecento europeo, allo scopo di indagare e approfondire l’oggettiva presenza e il valore ideale dell’eredità bodoniana nelle esperienze artistiche dell’ultimo secolo.

Al convegno interverranno:
Andrea De Pasquale (Direttore della Biblioteca Palatina e Museo Bodoniano)
La riscoperta di Bodoni nel Novecento: le onoranze per il centenario della morte
Carlo Mambriani (Professore in Storia dell’Architettura – Università di Parma)
Bodoni, Bettoli e l’informatica.
Ipotesi per uno studio “digitale” del neoclassicismo parmense
Corrado Mingardi (Esperto di Bodoni, Bibliotecario responsabile della  Biblioteca della Fondazione Cariparma di Busseto)
Hans Mardersteig, l’Officina Bodoni e l’Edizione Nazionale di Gabriele D’Annunzio
Fabrizio M. Rossi (Grafico, consigliere AIAP, redattore di “Progetto Grafico”)
La fortuna tipo-grafica dei caratteri bodoniani nel Novecento
Gloria Bianchino (Professore di Storia dell’Arte Contemporanea – Università di Parma)
Architetture di carta. L’esperienza grafica nel Novecento italiano
Andrea Gatti (Professore di Estetica presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Ferrara)
Dal canone neoclassico all’archi-scrittura contemporanea. Il gusto e la grafica
Paola Spinozzi (Ricercatore  di Letteratura inglese – Università di Ferrara)
“Preposterous thicks and thins”: Bodoni e la discrasia fra forma e significato nell’interpretazione di Williams Morris
Catherine De Smet (Storica dell’Arte)
Le conflit de l’architecture et de la typographie. La modernità paradoxale de Le Corbusier
Fabio Vittucci (Storico dell’Arte)
Intorno ai Bauhausbücher: una possibile ricezione italiana

L’evento è inserito nell’ambito del progetto Ottobre, piovono libri: i luoghi della lettura promosso dal Centro per il Libro in collaborazione con la Conferenza delle Regioni e delle Province Autonome, l’Unione delle Province d’Italia e l’Associazione Nazionale Comuni Italiani.

MA Typeface Design all’Università di Reading

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Quest’anno, un totale di 11 giovani designer, tra i quali Emanuela Conidi già mia cultrice della materia due anni fa nel mio corso di Type Design presso il Politecnico di Milano, hanno partecipato al Master in Type Design presso il Dipartimento di Tipografia e comunicazione grafica dell’Università di Reading sogno di ogni type designer tenuto dai prestigiosi docenti: Martin Andrews, Jo de Baerdemaeker, Veronika Burian, Rob Banham, Carolyn Davidson, Mary Dyson, Victor Gaultney, Eric Kindel, Gerry Leonidas, Paul Luna, Charlene McGroarty, Hadj Messelles, Tom Milo, Jonathan Hoefler, John Hudson, James Mosley, Linda Reynolds, Daniel Rhatigan, Fiona Ross, José Scaglione, Christian Schwartz, Paul Stiff, Miguel Sousa, Mirjam Somers, Michael Twyman, Gerard Unger, Marjan Unger, Sue Walker, Geoff Wyeth.

Il loro lavoro principale consisteva nel progettare un nuovo carattere latino con una versione, abbinabile con il primo, in un alfabeto non latino come il greco, il cirillico, l’arabo, il farsi, il devanagari …

Il Nabil disegnato da Emanuela Conidi
Il Nabil disegnato da Emanuela Conidi

Un lavoro molto interessante e difficile in quanto le due tipologie di alfabeti, e quindi di disegno della font, dovevano essere coerenti tra loro nelle forme e nei pesi. Tutti i font sono visibili sul sito del corso dove si trovano, scaricabili, gli specimen in formato PDF.

Complimenti Emanuela e complimenti ai tuoi 10 compagni di avventura!

Particolari nella progettazione del Nabil di Emanuela Conidi
Particolari nella progettazione del Nabil di Emanuela Conidi

Testo in portoghese

Gutenberg e il Professore

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Prendendo spunto dai sempre più “caldi” commenti al mio post «I caratteri mobili di legno e l’invenzione della stampa» dello scorso 22 febbraio dove si dibatte sulla paternità dell’invenzione dei caratteri mobili e di conseguenza della stampa tra Gutenberg, Castaldi e altri, riporto, per meglio illustrare le argomentazioni scaturite in tali commenti l’origine del “contendere” nate in un convegno tenuto a Genova nel novembre 2004 dal titolo “G come Genova, Gutenberg, Gates” dove venne presentata la teoria del Prof. Bruno Fabbiani e dove si accese un animato dibattito sulle “vecchie teorie”. Dibattito che proseguì nel 2005 presso il Centro di studi grafici a Milano.

In questo nuovo post pubblico, per gentile concessione dell’autore, l’articolo scritto da James Clough per la rivista Graphicus (dicembre 2004) dove si contrattaccano le teorie del Prof. Bruno Fabbiani sulla tecnica (metallografia), anziché quella che la storia attribuisce a Gutenberg come inventore di caratteri mobili.

Scrive James Clough: «Purtroppo, ed è con sincero dispiacere che lo dico, nella teoria di Fabbiani non c’è un solo grammo di verità provata. Ogni “prova” presentata con l’intento di convincere i lettori di Graphicus della validità della teoria, rivela non solo un’estrema superficialità di metodo, ma si offre, pure, a una serie di contestazioni che suscitano seri dubbi sulla conoscenza che Fabbiani ha della tipografia. Nonostante non possa considerarmi un esperto di storia dei primissimi anni dei lavori di stampa in Germania, certo è che studio la tipografia e la sua storia da più di venticinque anni. Credo che le mie limitate conoscenze, insieme a qualche approfondimento sulle ricerche correnti relative alla B42 all’estero, siano sufficienti a svolgere l’occorrente, ma poco gratificante, compito di inserire lo spillo e fare scoppiare il palloncino innalzato da Fabbiani».

La teoria di Fabbiani

Prosegue James Clough nel suo articolo: «Per il poco spazio disponibile, in questa occasione mi limiterò a discutere le principali “prove” di Fabbiani relativamente alle questioni di tecnica tipografica. Ma prima di andare al nocciolo del discorso, vorrei riassumere velocemente la teoria in questione. Il Professore dice che Gutenberg non componeva le righe della B42 con caratteri mobili, ma che la composizione veniva eseguita con la battitura, lettera dopo lettera e riga dopo riga, con punzoni d’acciaio dentro una “matrice-madre” di metallo tenero. Sulla matrice di un’intera colonna di testo veniva versato piombo fuso per ottenere la forma di stampa con le lettere in rilievo da inchiostrare e stampare successivamente. Questa, in essenza, è la teoria della metallografia che Fabbiani propone. Occorre pure, a questo punto, spendere qualche parola di chiarezza sulla tecnica della metallografia. Credo che chiunque abbia letto gli articoli di Fabbiani si sia fatta l’idea che fosse stato lo stesso Professore a inventare la suddetta teoria. Non è così: in un articolo sul Gutenberg Jahrbuch del 1930 Maurice Audin spiega la tecnica e suggerisce la possibilità che sia stata adoperata in maniera sperimentale e transitoria; ma escludendo categoricamente l’ipotesi di un suo utilizzo per la stampa di un libro, precisamente per i motivi che qui di seguito verranno spiegati».

(Fig. 1) Illustrazione di Fabbiani pubblicata da Graphicus (ottobre, 2003). Il Professore spiega le deformazioni delle aste dentro le zone cerchiate come effetto della punzonatura. GRAPHICUS n° 1002, pag. 88, illustr. N. 6

(Fig. 2) Una matrice in rame con un gonfiamento dovuto allo spostamento di metallo a seguito della battitura del punzone di acciaio.

Deformazioni

Nell’articolo di Graphicus 1002 (novembre 2003) troviamo due illustrazioni particolarmente eloquenti in quanto ci rivelano della confusione che giace alla base della teoria di Fabbiani. Il Professore presenta alcune lettere ingrandite prese dalla B42 (fig. 1). Ecco cosa si legge nella sua didascalia: Le zone cerchiate indicano le deformazioni delle aste dei caratteri adiacenti a causa della modificazione superficiale della matrice in metallo, per effetto della punzonatura. Emergono subito due osservazioni: uno sguardo a un’illustrazione di una matrice in rame, usata per fondere un politipo (fig. 2), evidenzia le inevitabili deformazioni conseguenti alla battitura con martello di un punzone di acciaio dentro un blocco di rame.

Per seguire la teoria di Fabbiani, non credo, invece, sia possibile battere i punzoni, uno dopo l’altro e inoltre vicinissimi (come le lettere nella B42) con la necessaria profondità, e provocare soltanto una piccola “modificazione superficiale”: la punzonatura di ogni successiva lettera deformerebbe sempre (e non occasionalmente e marginalmente) quella appena punzonata. Anche accettando – per un momento – la teoria di Fabbiani e osservando la i dentro il primo cerchio e la s antica dentro il secondo, la i sarebbe stata punzonata dopo la c e la s dopo la r; pertanto sarebbero la c e la r a subire le deformazioni e non la i e la s come vediamo: si compone – presumo perfino con i punzoni di Fabbiani – da sinistra a destra!

La crenatura

Sulla stessa pagina di Graphicus troviamo un’altra illustrazione interessante (fig. 3). Vale la pena citare anche qui la didascalia di Fabbiani: … Riproduce la ricostruzione della composizione in caratteri mobili della B42. L’incastro tra le lettere discendenti ed ascendenti, che superano in altezza le dimensioni degli altri caratteri dimostrano che tale incastro non è compatibile con i “tipi fusi”, ma tale innesto è possibile solo con la metallografia. Quello che Fabbiani chiama “incastro” in gergo tipografico è una “crenatura”, vale a dire una sporgenza di una parte di una lettera sulla spalla di un carattere adiacente. In questo caso si tratta di una crenatura verticale che, al contrario di quanto dice Fabbiani – sebbene rara nella storia della tipografia – è tutt’altro che impossibile, come dimostra questo dettaglio preso da un corsivo tipografico di Pierre Simon Fournier del 1749 (fig. 4). Il Professore dimentica di segnalare la fonte da cui proviene la sua illustrazione. Presumiamo sia tratta dalla foto della ricostruzione del carattere B42 nel libro «Die technik Gutenbergs und ihre Vorstufen» (fig. 5) di Aloys Ruppel (Direttore del Museo Gutenberg di Magonza dagli anni trenta fino agli anni cinquanta).

Paradossalmente questa illustrazione che Fabbiani mostra ci rivela esattamente quello che egli sostiene sia impossibile!

(Fig. 3) Illustrazione di Fabbiani raffigurante la ricostruzione del carattere B42 riportata da Graphicus (ottobre, 2003). GRAPHICUS n° 1002, pag. 88, illustr. N. 4

(Fig. 4) Un corsivo tipografico di Pierre Simon Fournier del 1749 con qualche esempio di crenature verticali

(Fig. 5) Ricostruzione del carattere B42 del Museo Gutenberg, tratto dal libro Die technik Gutenbergs und ihre Vorstufen di Aloys Ruppel – possibile fonte dell’illustrazione di Fabbiani (3)

(Fig. 6) Il brano di testo della B42 (Proverbi 1.13), corrispondente al dettaglio della ricostruzione del carattere B42 (illustrazioni 3 e 5).

(Fig. 7) Illustrazione di Fabbiani tratta da Graphicus (marzo, 2004) che mostra alcune lettere ingrandite del “Frammento di Strasburgo”.

Dalla didascalia di Fabbiani leggiamo: L’andamento scalare senza che le altre righe, superiori e inferiori, modificano il loro orientamento, la qual cosa fa dubitare che il frammento non è stato composto con caratteri mobili in quanto non vi è alcuna ragione tecnica o estetica che giustifichi tale andamento.

GRAPHICUS n° 1005, pagina 73, illustr. N. 6

(Fig. 8 ) Illustrazione di Fabbiani riportata da Graphicus (marzo, 2004) raffigurante la “verifica sperimentale” del Professore eseguita con caratteri industriali. Nella sua didascalia Fabbiani scrive: Questa verifica sperimentale dimostra che il “Frammento di Strasburgo” non è stato composto con i caratteri mobili. GRAPHICUS n° 1005, pagina 73, illustr. N. 8 (rif. 3)

a

Una q e una b

A proposito sempre di questa particolare illustrazione (fig. 3), sono rimasto perplesso all’idea che Gutenberg avesse veramente adoperato le crenature verticali. Dopo aver interpellato e incuriosito lo storico della tipografia James Mosley, la verità è rapidamente emersa.

Mosley è riuscito a trovare il testo esatto della B42 (fig. 6) corrispondente alla combinazione delle lettere nell’illustrazione di Fabbiani, e la ricostruzione del carattere B42 del Museo Gutenberg.

Dalla prima riga, nell’ultima parola a destra leggiamo: Omnem pretiosam substantiam reperiemus.implebimus domus nostras spoliis – (Proverbi 113). Il dettaglio che Fabbiani mostra è la q di quasi della riga precedente insieme all’abbreviata prima parte di substantiam (una b con una “bandiera” sull’asta). Questa immagine dimostra che il vero carattere della B42 non aveva una crenatura verticale e la ricostruzione a Magonza non è fedele in questo dettaglio.

Il “Frammento di Strasburgo”

In un successivo articolo su Graphicus (1005, marzo 2004) Fabbiani applica la sua teoria al cosiddetto “Frammento di Strasburgo”. Si tratta di un frammento del Giudizio Universale proveniente dal Sibyllenbuch, senza data e senza alcuna indicazione sulla presunta stampa a Strasburgo – durante l’esilio di Gutenberg – malgrado la certezza di Fabbiani. Possiamo solo supporre che il “Frammento” è anteriore alla B42 e che fu stampato da Gutenberg: il carattere è un gotico simile a quello della B42, sebbene meno evoluto, e il testo non è giustificato. Ritorno a una delle illustrazioni di Fabbiani del “Frammento” (fig. 7): un ingrandimento di un dettaglio dello stampato. In riferimento a questa e altre illustrazioni simili, Fabbiani parla di … una inspiegabile scalarità dei caratteri che sarebbe “incongruente” con la tipografia: Se il testo fosse stato composto con caratteri mobili la loro scalarità verticale si sarebbe ripercossa sui caratteri sottostanti o sovrastanti in quanto i parallelepipidi costituenti i singoli caratteri non sono elastici e quindi non possono compensare i loro fuori allineamento.

Per enfatizzare l’idea che “l’andatura scalare” delle lettere evidente nel “Frammento” sia incompatibile con la tipografia – e quindi attribuibili alla metallografia – Fabbiani ci intrattiene con una lezione di tipografia. I caratteri della sua illustrazione (fig. 8 ) sono simili per stile a quelli usati per stampare il “Frammento”. Ma le similarità con quelli del “Frammento” non vanno oltre a questa semplice osservazione; non provengono da una forma a mano, ma da una fonditrice meccanica; e saranno stati selezionati dalla fonderia prima della vendita al tipografo. Sono prodotti industriali perfetti: il risultato di secoli di progresso tecnologico. Fabbiani offre parametri industriali per spiegare una tecnica artigianale, sperimentale e di conseguenza imperfetta; un fatto di tipografia medioevale accaduto almeno quattrocento anni prima dei caratteri dell’illustrazione.

La fusione a mano

Benché la memoria storica dei fonditori che lavoravano con le forme a mano per produrre caratteri mobili sia scomparsa da diverse generazioni, in un libro del 1887, A «History of the Old English letter foundries» di Talbot Baines Reed, proprietario di una fonderia tipografica londinese, c’è una spiegazione che si contrappone a quella di Fabbiani circa la questione del “l’andatura scalare” e le altre imperfezioni rilevate dal Professore nel “Frammento”. Resta superfluo ricordare che Reed sottoscrive la tradizionale attribuzione a Gutenberg dell’invenzione di caratteri mobili. Ecco la mia traduzione di un paragrafo del suo libro: Chiunque conosca la procedura di fusione di caratteri in forme a mano sa che il lavoro è difficile. Con una sola forma e una sola matrice, un abile fonditore sarebbe in grado di produrre diciannove caratteri perfetti su venti, mentre un altro maldestro fonditore a mala pena potrebbe produrre un solo carattere perfetto su venti. Diverse lettere richiedono diversi movimenti manuali per indurre il metallo a passare dentro ogni interstizio della matrice; è pure possibile che un fonditore possa avere “fortuna” nel suo lavoro un giorno e produrre caratteri difettosi il giorno dopo. Naturalmente nei tempi moderni [1887], solo caratteri perfetti arrivano nelle mani degli stampatori, ma all’inizio, con una matrice deperibile, si doveva tenere e usare ogni carattere fuso; la selezione sarebbe stata meno severa e si permetteva l’utilizzo di caratteri tanto diversi dal loro modello originale quanto uno dall’altro. […] Lasciate che chiunque senza esperienza provi a fondere venti caratteri gotici da una sola forma e matrice; poi lasciatelo fare una prova di stampa dei caratteri così prodotti. Il risultato di tale sperimento avrebbe l’effetto di farci smettere per sempre di chiedere il perché delle irregolarità evidenti nella Bibbia di Gutenberg… Queste parole insieme all’immagine di lettere fuse e stampate nella fonderia di Reed (fig. 9) – senza alcuna selezione da parte del fonditore, e con ciascuna lettera proveniente da una sola matrice – mi sembrano piuttosto esaustive nella loro chiarezza.

(Fig. 9) Illustrazione tratta da A History of the Old English letterfoundries di Talbot Baines Reed dove si mostrano i risultati di cattive fusioni di lettere tipografiche. Anche qui si nota “l’andatura scalare” che Fabbiani ritiene sia incompatibile con la tipografia.

Ricerche attuali

Negli articoli scritti da Fabbiani relativi a Gutenberg, l’assenza di un solo riferimento bibliografico, insieme a una fastidiosa ma chiara impressione trasmessa ai lettori che solo Fabbiani si occupi scientificamente della B42, aggiungono ulteriore tristezza alla querelle. Da un articolo di Fabbiani (Graphicus 1000 del settembre 2003) leggiamo: Molti libri sono stati scritti su questa Bibbia e su altre opere di Gutenberg, ma nessuno mai fino a oggi, salvo prova contaria, ha analizzato a fondo quest’opera… Un’affermazione che trova spiegazione, forse, nella non consapevolezza da parte di Fabbiani delle ricerche piú aggiornate. È vero che nessuno ha ancora finito di analizzare “a fondo” la B42; ma è possibile che ricerche di studiosi quali Lotte Hellinga (British Library), Paul Needham (Princeton University) e Cornelia Schneider (Museo Gutenberg), per menzionare solo tre personaggi ancora vivi e che fanno ricerche da diversi decenni, siano sconosciuti a Fabbiani? Lui che, se non vado errato, ha iniziato le sue ricerche sui lavori di Gutenberg appena nel 2003!

Le correzioni

Per chi rimane ancora con qualche dubbio vorrei discutere una ricerca di Mari Agata che è stata pubblicata sul «Papers of the Bibliographical Society of America» (vol. 97, giugno 2003). La ricercatrice ha scritto una prima relazione sull’analisi comparativa di 158 carte del 1° volume della B42: ha potuto avvalersi della copia della B42 della Cambridge University Library e quella presso la Biblioteca dell’Università di Keio. Usando Photoshop per la sovrimpressione dei testi delle stesse pagine delle due copie, oltre a quelle già rivelate da altri studiosi, ben venti piccole differenze – difficilissime da rilevare a occhio nudo – sono emerse. Un controllo eseguito su altre dodici copie della B42 ha rivelato che ogni copia riporta o la versione del testo di Cambridge o quella di Keio. Scegliamo un solo esempio di queste piccole correzioni (fig. 10) dal primo volume della B42, foglio 264r, colonna a sinistra; una piccolissima differenza appare nella seconda riga dell’illustrazione: nella copia Keio lo spazio tra i due punti (dopo la seconda parola) e l’abbreviazione (et) è maggiore di quello della copia Cambridge. Se la copia Keio rappresenta lo stato iniziale, è possibile che il cambiamento fu eseguito per correggere la giustificazione; effettivamente, la riga della copia Cambridge presenta una giustificazione migliore. Nel periodo della stampa con il torchio a mano se un errore o un refuso veniva notato in un foglio appena stampato, i tipografi si fermavano brevemente a correggerlo. Infatti, correggere piccoli e meno piccoli errori di questo genere con la tipografia era facilissimo: in questo particolare caso bastava aprire la forma, prendere un paio di pinze, cambiare la posizione di uno spazio e chiudere la forma: trenta secondi di lavoro. Fabbiani può spiegare come si poteva correggere con la metallografia? E soprattutto, può darci un’idea di quanto tempo ci voleva e se quel dispendio di tempo era in qualche maniera proporzionale all’importanza di un “errore” di giustificazione praticamente trascurabile come questo?

(Fig. 10) Le due illustrazioni provengono da una ricerca di Mari Agata sul Papers of the Bibliographical Society of America (vol. 97, giugno 2003). Lo stesso brano di testo di due copie della B42 (Quella di Keio in alto e quella di Cambridge, sotto) dimostra una differenza di spaziatura nelle due copie: nella seconda riga, tra i due punti (dopo la seconda parola) e l’abbreviazione (et).